La Germania alza il muro: "Non siamo d'accordo". Francia e Italia pronte ad appoggiare Super Mario

Il paradosso di Berlino, prima vittima delle politiche di controllo della spesa

La Germania alza il muro: "Non siamo d'accordo". Francia e Italia pronte ad appoggiare Super Mario
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Investire o morire. Il bivio davanti a cui Mario Draghi pone l'Europa è chiaro. Meno chiaro, e non perché all'ex governatore Bce manchino le certezze, è dove trovare gli 800 miliardi annui con cui finanziare il colpo di reni indispensabile per salvare il Vecchio Continente. Ma dirlo significa innescare uno scontro che rischia di disintegrare l'Ue anziché rilanciarla. Parlare di investimenti, e quindi di debito comune per finanziarli, a una Germania in piena recessione è come parlare di corda in casa dell'impiccato. Non a caso il primo nein al rapporto di Mario Draghi arriva dal ministro dell'Economia tedesco Christian Lindner. «La Germania non è d'accordo», sbotta il ministro liberale paladino dell'austerità tedesca tre ore dopo la presentazione del rapporto Draghi. Un paradosso se si pensa che a chiedere l'analisi di Draghi e stata una presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen tedesca quanto Lindner. Un paradosso ancor più eclatante se si pensa che la Germania è oggi la principale vittima delle proprie politiche di controllo della spesa. Eppure l'atteggiamento non cambia. Un immobilismo confermato dalle pratiche con cui il governo del socialdemocratico Olaf Scholz (nella foto) ha cercato di bloccare la designazione di commissari italiani, trasformando la Commissione Ue in una sorta d'immutabile nominificio. Un immobilismo confermato dalle parole di Lindner prontissimo a ricordare a Draghi che «più debiti governativi producono più interessi, ma non creano necessariamente maggiore crescita».

Nulla di diverso e nuovo, insomma, rispetto al mantra ventennale con cui Berlino ha distrutto la propria economia e imposto ai 27 un contenimento del debito trasformatosi in stagnazione. Il rapporto Draghi rischia dunque di dividere ulteriormente l'Unione Europea anziché ricompattarla e rilanciarla. La Germania è pronta infatti a guidare la rivolta dei frugali ovvero di quei paesi come Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia e Repubbliche Baltiche che considerano gli investimenti a debito una bestemmia finanziaria e insistono per contenere il più possibile il bilancio europeo. In questo possono contare sull'alleanza dei paesi dell'Est pronti a sostenere la continuità delle politiche economiche grazie alle quali hanno beneficiato per decenni di fondi a pioggia. Tra i pochi pronti ad appoggiare Draghi vi sarebbero l'Italia e la Francia finite a giugno nel gruppo di sette paesi sottoposti a procedure di controllo per eccesso di deficit. A Parigi il primo ad accettare la sfida con Berlino sarà probabilmente il premier Michel Barnier. Fresco di nomina, ma veterano delle questioni europee, Barnier si ritrova a far i conti con un rapporto deficit-Pil al 5,6% e un bilancio da chiudere entro il primo ottobre. Il rapporto Draghi e la rimessa in discussione delle regole europee può dunque rappresentare il salvagente a cui aggrapparsi per evitare le procedure per eccesso di disavanzo. Ma i tempi sono stretti e i nemici numerosi.

Nonostante sia ormai evidente che la Germania ha imposto un autentico suicidio economico a se stessa e all'Europa gran parte dei 27 restano attaccati ai piedi di argilla del gigante tedesco. E l'allarme di Mario Draghi rischia di restare un appello inascoltato.

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