È stata ritrovata sgozzata o quasi, stipata, quasi raggomitolata dentro un contenitore di plastica, una specie di baule, braccia e gambe legate, la testa quasi staccata dal corpo, due cifre sul corpo, un uno e uno zero. Dodici anni e una storiaccia da romanzo di Georges Simenon, che era belga ma nella capitale francese aveva scelto di ambientare le indagini del commissario Maigret, in una Parigi sordida e appiccicosa come la melassa. Di solito piovosa come quella di ieri.
Lola D. ha dodici anni. È una studentessa bionda e tranquilla. Venerdì è vestita tutta di bianco, jeans strappati come va di moda tra gli adolescenti, una felpa col cappuccio, un piumino leggero senza maniche, sneaker bianche anch'esse. Una ragazzina come tante, che come ogni giorno attorno alle tre di pomeriggio torna da scuola, il Collège Georges-Brassens, nel XIX arrondissement, periferia nordorientale della Ville Lumière, a due passi dal parco Buttes-Chaumont e non lontano dal parc de la Villette. Un percorso di poche decine di metri fino a quel condominio al numero 40 di rue d'Hautpoul, il residence Manin. Lei è la figlia del portinaio, la conoscono tutti. Ma quella donna che la intercetta mentre entra nell'edificio, lei non la conosce. E diranno di non conoscerla nemmeno gli altri condomini che saranno ascoltati. Le telecamere a circuito chiuso riprendono la scena: una donna sui vent'anni chiama Lola, la ragazzina si volta e la segue. Non sembra felice di farlo, è evidentemente a disagio. Chissà cosa l'ha convinta ad andare incontro al suo destino con il broncio disegnato sul volto.
Da quel momento si apre un buco nero di abominio. Lola riappare otto ore dopo, sono più o meno le undici di sera. Ed è morta. Un senza fissa dimora nota nello squallido cortile dell'edificio un baule seminascosto da certe copertucce, da certi stracci, in mezzo a dei trolley vuoti. Guarda il contenuto, sperando di trovare qualcosa di utile, ma quello che vede gli ghiaccia il sangue. Dentro c'è il corpo di una ragazzina ancora senza nome, incatenata e avvolta in una pellicola di plastica. La testa quasi staccata dal collo, il corpo segnato dalle violenze e da due numeri, un uno e uno zero, non scritti né incisi sulla pelle ma applicati in qualche modo.
Da quel momento la squadra omicidi della polizia francese, coordinata dalla Procura minorile, si mette all'opera per capire cosa e chi c'è dietro quel rapimento andato decisamente storto. Si guarda in giro e trova dello scotch da pacchi nel garage. Sente il padre della ragazza, che racconta di essersi presto allarmato quando ha visto che la figlia non tornava da casa e di aver denunciato la sua scomparsa. Sente la madre, che non dice molto di più. Quindi ascolta tre persone che si trovavano nei dintorni del residence Manin e le ferma, una è il clochard, gli altri non si sa.
Poi, ieri mattina, a Bois-Colombes, un comune dell'hinterland parigino, a Nord-Est della capitale, ferma una quarta persona, una giovane donna, forse la stessa che aveva adescato Lola nei video delle telecamere di sorveglianza. A metterla nei guai la testimonianza di un condomino a cui avrebbe chiesto, per favore, di aiutarla a trasportare un grosso e pesante baule fino alla sua auto, una Dacia parcheggiata lì vicino.
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