Torno subito. Con il premier Conte alle prese con i fusi dell'Estremo oriente e il vicepremier Di Maio ancora sotto botta elettorale, il governo più che imballato è proprio «chiuso per ballottaggi». Anche se a urne chiuse, lunedì, potrebbe esserci l'atteso vertice tra il premier e i sui due vice. A prendere sul serio l'ultimo rush elettorale è l'altro premier, il leghista Salvini, ubiquo e sempre loquacissimo in ogni dove, che si tratti di piazze della Bergamasca come dei mille talk televisivi.
Brilla la sua ennesima assenza a un vertice europeo sui migranti, e sia il Pd che Forza Italia fanno notare che non basta parlare, specie se non lo si fa nei luoghi deputati. Ma Salvini è convinto che «Bruxelles ci teme perché non andremo con il cappello in mano sui conti». È tornato anche «pappa e ciccia» con Di Maio, naturalmente alle spalle dell'ignaro Conte, ma Salvini a Pomeriggio Cinque si mostra magnanimo: «Con Di Maio va bene, l'accordo è saldo, ci siamo rivisti dopo qualche settimana di turbolenze, ci siamo seduti al tavolo e lo faremo anche con il presidente Conte, per definire quali sono le priorità». Il fatto è che lui le ha già enunciate, in tutte le lingue e le salse: taglio delle tasse, ma anche un «rimpastino» di governo e la partita delle poltrone, in Europa e in Italia (di questo, in verità, nessuno parla).
«Io non chiedo nulla - dice Salvini -nessun posto in più a Roma. Se ci fosse necessità di una squadra più compatta e di una revisione del Contratto, io ovviamente, come sempre sono disponibilissimo». Un ministero che ha bisogno di un titolare «il più presto possibile»c'è, intima l'incontenibile vicepremier: le Politiche europee, quello lasciato da Paolo Savona. E Salvini ha pure già il nome in mente, ma lo comunicherà a Conte, «non ora in diretta televisiva». Che fortuna. Solo che, a dispetto di quanto chiesto da Di Maio in mattinata, c'è proprio aria di rimpasto: lo fa notare l'arguto deputato pidino Filippo Sensi in un divertente tweet. «È partito il rimpasto, unico modo per tenere assieme la maionese impazzita. Toninelli e Costa si preparano, se non li vuole umiliare troppo può saltare Bussetti. Commissario alla Lega? Trenta si salverà, Grillo?», celia Sensi, che ha esperienza di affari di governo da vendere. Il nome in partenza più gettonato dai rumores è quello di Toninelli, e pare che i vertici dei 5stelle non abbiano ancora deciso se sacrificarlo o no. Altro in bilico è il titolare dell'Ambiente, Costa, anche se sembra difficile che i leghisti facciano man bassa senza adeguate contropartite. Vero è che il M5S è in profonda crisi intestina, e se Di Battista sta riflettendo se entrare nel governo come «vice» di Moavero agli Esteri, dalla Casaleggio Associati parte un siluro all'esponente dell'ala meno governativa e più ortodossa nel grillismo «versione Beppe». Se ne incarica il sottosegretario Stefano Buffagni, ventriloquo di casa madre, che accusa il presidente della Camera, Roberto Fico, per le parole sui rom pronunciate alla Festa della Repubblica («è una festa anche loro»). «Sono state un favore suicida all'alleato - dice Buffagni -. Non ho condiviso per nulla quella scelta e non avrei detto quella frase. Il 2 giugno è la festa degli italiani e mi farebbe piacere vedere ovunque il tricolore. Non è nazionalismo ma senso di appartenenza ad una comunità».
Visto lo sfaldamento in fieri della sua, sembrerebbe già pronto a quell'«osmosi» con la Lega di cui, nel Movimento, sono già in molti a parlare. «Scongiurato il voto anticipato, ora lavoriamo uniti», dice Buffagni. Un invito a nozze, diciamo.
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