L'ennesimo imbarazzante pasticcio del governo Conte, incapace di raggiungere un compromesso adeguato tra la necessità di fermare il contagio negli ambienti di lavoro industriali e la necessità delle imprese di non spegnersi momentaneamente ma definitivamente. Il risultato è un compromesso che scontenta parecchi e che restituisce l'immagine di un premier «prigioniero» degli opposti interessi delle parti sociali. Con i sindacati pronti allo sciopero.
In particolare, il pomo della discordia è rappresentato dei codici Ateco (acronimo di «attività economiche»), una serie alfanumerica che indica il settore di competenza di una determinata impresa. Il problema è che i codici non sono aggiornati (risalgono al 2007) e al loro interno comprendono attività eventualmente necessarie alle filiere fondamentali come agroalimentari e farmaceutica. Ecco perché il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia ha spinto per l'applicazione di quelli più settoriali ed estensivi. Finendo con lo scontentare Cgil, Cisl e Uil, ormai allineate sulla necessità di fermare il più possibile le aziende.
Ecco perché il presidente di Confidustria, Vincenzo Boccia, ieri ha scritto al premier sottolineando il «senso di responsabilità» degli imprenditori ed evidenziando «l'esigenza di contemperare la stretta con alcune esigenze prioritarie del mondo produttivo». Tra queste, in particolare, la prosecuzione per massimi 2-3 giorni delle attività necessarie a fermare gli impianti, garantirne la manutenzione e, infine, l'invio delle commesse già pronte per non pagare pesanti penali, soprattutto in caso di merci deperibili. A fronte di tutto questo si chiedono misure per favorire la liquidità «per evitare che questa situazione produca conseguenze irreversibili e che gli imprenditori perdano la speranza nella futura prosecuzione delle attività». Boccia ha infine rimarcato la necessità di una riflessione sull'operatività della Borsa e dei mercati per evitare ricadute sulle società quotate.
Irritate, come detto, Cgil, Cisl e Uil, pronte allo sciopero generale. I leader Maurizio Landini, Annamaria Furlan, e Carmelo Barbagallo hanno stigmatizzato «l'ipotesi di aggiungere all'elenco dei settori e delle attività da considerare essenziali nelle prossime due settimane attività produttive di ogni genere». Se non ci sarà lo stop, Cgil Cisl, Uil sono pronte a «proclamare in tutte le categorie che non svolgono attività essenziali lo stato di mobilitazione e la conseguente richiesta del ricorso alla cassa integrazione, fino ad arrivare allo sciopero generale». Precedentemente, il segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivogli aveva manifestato la stessa intenzione se non fossero stati rimossi, in fase di stesura, i codici Ateco estensivi.
Palazzo Chigi ha diramato una nota nella quale si specifica che la pubblicazione del decreto è slittata a ieri pomeriggio, perché il premier Conte e il ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli hanno trascorso la notte e la giornata a vagliare «le numerosissime richieste da aziende, anche quelle di una certa rilevanza per il sistema Italia, che adducevano varie motivazioni per giustificare la necessità di proseguire nelle proprie attività e invocavano comunque il carattere essenziale delle stesse e la rilevanza strategica ai fini dell'economia nazionale». Di qui il ritardo nella pubblicazione e le successive proteste.
Una conferma della solita impreparazione e del pressapochismo con il quale prima si indicono le conferenze
stampa via Facebook e poi si scrivono i provvedimenti. Perché a Palazzo Chigi non sapevano che cosa sarebbe stato necessario chiudere e cosa no. È stato scoperto cammin facendo. In modo da non poter separare torto e ragione.
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