Il grido di dolore dei (pochi) dem amici d'Israele. "Ricucire la ferita storica fra sinistra ed ebrei"

Il congresso dell'associazione che elegge Fiano presidente: "Parlare di genocidio scelta improvvida e onta da cancellare"

Il grido di dolore dei (pochi) dem amici d'Israele. "Ricucire la ferita storica fra sinistra ed ebrei"
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Superare la «lacerazione fra la sinistra e il mondo ebraico». Compito improbo quello che si è assunta la «Sinistra per Israele», che nel week end a Roma ha celebrato il suo congresso (titolo «Due popoli, due Stati») rieleggendo a presidente Emanuele Fiano, a lungo deputato Pd, ex presidente della Comunità ebraica di Milano.

C'è gran fermento, nel piccolo settore della sinistra che si dichiara amica di Israele. Quella che era un'associazione presente praticamente solo a Milano sta cercando di radicarsi: gli iscritti sono arrivati a 400, altri cinque circoli sono stati aperti. Fermento non casuale e non inedito: a ogni passaggio critico nella vita di Israele ha corrisposto l'esigenza di difendere le sue ragioni, misconosciute, stravolte, negate anche a sinistra, soprattutto a sinistra ormai. E «Sinistra per Israele» è un'associazione storica, nata all'indomani della «Guerra dei sei giorni», quando si consumò la prima «lacerazione» tra sinistra e mondo ebraico, come l'ha inquadrata uno dei ri-fondatori del gruppo, Piero Fassino. L'ex segretario Ds ha parlato con franchezza: ha definito molto complessa la prospettiva dei due Stati, ha riconosciuto come il 7 ottobre sia stato uno «choc» in Israele e sottovalutato nel resto del mondo. E ha ripercorso la storia della «diffidenza tra sinistra ed ebraismo», a partire proprio dal 1967. Allora, i comunisti - seguendo il voltafaccia di Mosca - presero a identificare Israele come Stato imperialista e colonialista, dipingendo poi addirittura il sionismo come ideologia razzista. I frutti di quel voltafaccia e di quella violenta mistificazione si vedono oggi. Le manifestazioni animate da centri sociali e giovani arabi, gli studenti che occupano gli atenei, e poi il movimento pro boicottaggio, i sindacati e quel vasto movimento che attribuisce a Israele un intento «genocida»: l'ostilità per lo Stato ebraico ha raggiunto il culmine. Ed ecco il grido di dolore della «Sinistra per Israele», perfettamente leggibile nelle «tesi» e nei «compiti» indicati nel documento finale approvato dal congresso: «Ribadire la dignità del sionismo storico nella sua dimensione di movimento di liberazione nazionale e sociale degli ebrei» è una delle missioni. E al punto 10, «Contro l'antisemitismo», si legge che «l'utilizzo improprio della categoria di genocidio per connotare la guerra a Gaza» è «una scelta improvvida sul piano storico e concettuale», che porta a rovesciare il ruolo «tra le vittime e i carnefici». «Un'onta che occorre cancellare». Chissà cosa avrà pensato, in platea, il segretario dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo, che con la sua organizzazione ha ampiamente utilizzato la categoria del «genocidio». Il documento congressuale ha riconosciuto la «natura antisemita di posizioni antisioniste che delegittimano il diritto di Israele a esistere», ha manifestato preoccupazione per «una nuova violenta campagna antisemita» che «attraversa la destra e la sinistra» e ha ammesso come sia «un dato di fatto che non pochi ebrei italiani oggi si sentano più rappresentati dalle forze politiche che si dichiarano vicine alle scelte compiute dal governo israeliano». E alla «diffidenza» che si avverte in Italia fra sinistra ed ebraismo corrisponde la crisi della sinistra israeliana, che secondo Luciano Belli Paci, avvocato milanese, figlio della senatrice Liliana Segre, si è immolata per «l'obiettivo della pace» perdendo tutto.

«Se ci fosse un movimento pacifista serio in questo Paese dovrebbe considerare questo come un esempio straordinario, luminoso» ha detto Belli Paci. «Se la sinistra fosse la sinistra che noi vogliamo, dovrebbe avere sezioni intitolate a Peres e Rabin» ha aggiunto. Così non è.

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