Hamas attacca, obiettivo Gerusalemme

Attacco al confine vicino a Betlemme, morto un soldato. "Progettavano una strage"

Hamas attacca, obiettivo Gerusalemme
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Doveva essere un altro attacco atroce, sullo stile del 7 ottobre, questa era certo l'ispirazione; Hamas aveva programmato una grande giornata di terrore in tutta Gerusalemme. Sulla strada delle gallerie che si innesta dal Gush Etzion in città, tre terroristi armati di fucile hanno ucciso un soldato di vent'anni che ha difeso gli astanti col suo corpo, e ferito altre cinque persone. La strada proviene da Hebron, da Betlemme, si innesta su molte località palestinesi. Quando i soldati al check point hanno fermato la Skoda bianca mascherata con una targa gialla, vistisi smascherati sono saltati fuori e hanno sparato facendo 6 feriti. Una guardia di 20 anni, Avraham Tutena, è rimasto a terra; mentre ancora si dava la caccia ai tre terroristi, una ragazza di 25 anni, Talia Diker, paramedico dell'esercito, è uscita dalla sua auto avventurandosi per tentare la respirazione artificiale. Ma il gesto generoso è stato vano. Tutena è morto poco all'ospedale.

Nel portabagagli dei terroristi si scoprivano mitra, asce, divise israeliane, caricatori sufficienti per una grande strage a Gerusalemme bloccata solo dalla determinazione dei soldati. Secondo il classico martirologio degli Shahid, insieme alle armi c'era una riserva di datteri e latte. I terroristi venivano da Hebron, la capitale del terrorismo di Hamas nell'Autorità Palestinese, e uno dei tre, Abdel al Qadr al Qawasmi, era il figlio di un famoso capo delle stessa organizzazione che aveva fatto centinaia di morti in Israele durante la seconda Intifada, Abdallah Qawasmi, eliminato nel 2003. Un'azione carica di simboli per dire alla gente d'Israele: stiamo arrivando anche da voi.

La novità consiste non nella ovvia rivendicazione di Hamas, collaterale all'azione di Gaza, ma nel mucchio di armi che denuncia un'ambizione larga e di lunga durata, e nella provenienza geografica. Infatti Jenin è stata la casa madre degli attacchi che si sono succeduti uno dietro l'altro negli ultimi tre anni, con un'equa distribuzione fra Hamas, Jihad Islamica, Brigate Al Aqsa, e la nuova «Lion den», la fossa dei leoni. Solo nell'ultimo mese ci sono stati quattro attentati letali, e prima, lungo il 2021, '22, '23, l'assedio nelle strade, nei caffè, alle fermate degli autobus ha fatto decine di morti. Impossibile elencarli tutti, solo qualche esempio: tre morti a Beersheba nel mall (marzo '21), quattro per le strade di Bnei Berak (sempre marzo), tre a Tel Aviv al caffè (aprile '22), 7 a Neve Yakov (gennaio '23), tre a Ramot, due a Hawara. Molti spezzano il cuore come la mamma con due figlie il 7 aprile di quest'anno nella valle del Giordano, l'uccisione del nostro turista italiano nel giugno, l'assassinio di due fratellini di sei e otto anni nel febbraio alla fermata dell'autobus.

Il terrorismo del West Bank, è pericoloso come quello di Hamas a Gaza, perché il regista è lo stesso: l'Iran di Khamenei. La sua strategia gli fa affermare che «la chiave della crescita della resistenza che metterà Israele in ginocchio è il West Bank». Hossein Salami, il capo delle guardie rivoluzionarie ha lodato l'«esercito» palestinese del West Bank, e certo lo seguita a rimpinzare di armi, come Hamas e la Jihad Islamica. Anche tre residenti di Gerusalemme Est arrestati ieri probabilmente fanno parte del disegno. Dal 2005, ultime votazioni, Abu Mazen non ha mai più voluto andare alle urne: gli sarebbe servito solo a misurare la sua debolezza di fronte al vincitore, Hamas. Così ha cercato di batterlo nel modo più sbagliato, con la concorrenza: invece di rendere solida la sua alleanza militare con Israele l'ha indebolita con una cultura dell'odio che alleva giovani Shahid pronti a passare ad Hamas e ha continuato a conferire ai terroristi stipendi per 170 milioni di dollari l'anno.

Teheran si è data cura di riempire il West Bank di armi di tutti i generi: fucili automatici, missili con cui ormai si spara anche dentro la linea verde, droni. Sono queste le armi ritrovate dentro l'auto che doveva dare il via a un altro eccidio.

Quando il presidente Biden, in buona fede, parla di «due stati per due popoli» dovrebbe spiegare chi è l'interlocutore.

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