Prima della sospensione dei combattimenti a Gaza, che sembra sempre più un miraggio nonostante l'apparente ottimismo americano, arriva l'avvertimento del portavoce dell'esercito israeliano, che spiega come Israele abbia pianificato una guerra della durata di circa un anno nella Striscia: «Gaza è forse uno delle arene più difficili al mondo», commenta Daniel Hagari. Le sue parole risuonano come un triste presagio, nel giorno in cui i negoziati tra Israele e Hamas, mediati da Egitto e Qatar, sono ripresi al Cairo alla presenza di tutte le parti in causa, e nel giorno in cui il direttore della Cia William Burns ha incontrato in Israele il primo ministro Benjamin Netanyahu e il capo dell'intelligence interna dello Stato ebraico, lo Shin Bet, David Barnea, per tentare il tutto per tutto per la liberazione dei 132 ostaggi (tra cui decine già morti) e una tregua a Gaza.
La situazione sembra complicarsi invece che migliorare. Gli Stati Uniti hanno confermato la sospensione dell'invio di armi a Israele, pur spiegando che non si tratta di una decisione definitiva. Il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ha sottolineato che la scelta è legata al «contesto degli eventi che si stanno sviluppando a Rafah» e ribadisce che gli Usa sono stati chiari «da subito» con Israele sul no a un'ampia offensiva nella città del sud della Striscia che non tenga conto della protezione dei civili.
Pur con la mobilitazione e la mediazione dei vertici statunitensi, nonostante l'ottimismo apparente di Washington che sostiene che il divario fra le parti possa essere colmato, non sembra esserci ancora all'orizzonte un barlume di intesa fra Israele e Hamas. Il gruppo estremista palestinese, tramite una fonte ai media arabi, sostiene addirittura che i colloqui siano finiti, scaricando la colpa su Netanyahu che «cerca di guadagnare tempo» e di «riportare tutto al punto di partenza». Avverte che le cose «non saranno più come prima dell'invasione di Rafah». E soffia sull'esasperazione dei parenti degli ostaggi, che ancora ieri mattina hanno manifestato bloccando l'autostrada Ayalon a Tel Aviv: «Le famiglie dei prigionieri israeliani - ha avvertito la fonte - devono sapere che l'attuale ciclo di negoziati potrebbe essere l'ultima opportunità per riavere i loro figli».
Gli attacchi su Rafah, ultima roccaforte di Hamas nella Striscia di Gaza ma anche rifugio di un milione e mezzo di civili palestinesi, pur non rappresentando ancora l'ampia offensiva che Israele è pronto a lanciare, stanno aumentando le tensioni, anche se lo Stato ebraico resta convinto che la pressione militare su Hamas sia l'unica via per il ritorno degli ostaggi e la vittoria sui terroristi. Le proteste pro-palestinesi dilagano nel mondo - ieri un centinaio di membri dello staff dell'Unione europea hanno manifestato con croci e teli insanguinati - mentre l'Idf tira dritto e annuncia di aver ucciso circa 30 uomini armati a Rafah, aver schermato 8 razzi lanciati dalla città verso il sud di Israele e aver eliminato il capo delle forze navali di Hamas a Gaza City.
L'Idf ha riaperto il valico di Kerem Shalom, chiuso dopo un attacco di Hamas che ha ucciso 4 soldati israeliani domenica, mentre il valico di Rafah, di cui Israele ha preso il controllo martedì, resta ancora chiuso e si moltiplicano gli appelli per la riapertura. Da questi punti cruciali sono passati infatti finora gli aiuti alla popolazione palestinese, che conta quasi 35mila morti ed è allo stremo.
Nel sud - dice l'Oms - agli ospedali restano solo tre giorni di carburante. A Cipro sono stati caricati ieri i primi pacchi di cibo e medicine che saranno consegnati nella Striscia utilizzando un molo galleggiante costruito dai militari americani per accelerare i rifornimenti all'enclave.
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