"Ho fatto il 112 col telefonino nascosto"

Il piccolo eroe racconta: «È stato il giorno più brutto della mia vita»

"Ho fatto il 112 col telefonino nascosto"

Felpa bianca e voce laggermente tremula. Un po' per la paura, un po' per l'eccitazione di trovarsi con un microfono davanti. Sono ragazzini alla loro prima intervista: forse non completamente coscienti del pericolo scampato, ma sicuri di aver vissuto un evento importante. Roba da prima pagina. Macché, prima pagina: quella è roba per vecchi. Loro questa storia la posteranno dieci, cento, mille volte sui telefonini. Un po' per vantarsene, un po' per esorcizzare una brutta avventura che solo per miracolo non si è trasformato in tragedia. Il ragazzo con la felpa racconta dettagliatamente, come un cronista di razza: «Ci ha legati, ha buttato la benzina nel corridoio del pullmino e tra i sedili, urlava, diceva che voleva vendicare i bambini morti nel Mediterraneo». La videointervista sul sito del Corriere della Sera è impressionante per la lucidità della testimonianza. Davanti alle telecamere si alternano molti degli studenti protagonisti del dramma. Ognuno di loro ricorda un particolare. Nessuna delle testimonianze è banale, i giovani sembrano aver colto non solo le parole dell'autista «vendicatore» ma anche l'essenza più intima del suo messaggio delirante: «Sembrava come drogato...». Drogato di ideologia, ignoranza, cattiveria. Se poi vogliamo per forza semplificare banalizzando il tutto, c'è sempre la parolina magica: follia. Buona per tutte le occasioni. Figuriamoci per una vicenda come questa dove qualche «pazzo» riuscirà perfino a dare la colpa al governo, a Salvini, a Di Maio o a chissà chi altri.

«Ci ha legati, sembrava non finire mai. Di solito sul bus c'è un altro autista», dice un altro studente. La voglia di parlare è tanta. La tensione si scarica anche così: «Tanti nostri compagni sono stati mandati in ospedale perché avevano leggere bruciature o male ai polsi»; e poi: «Siamo abituati a prendere il bus quando andiamo a fare sport ma di solito c'è un altro autista».

Tutti concordano su un punto-chiave: «Ci ha legato i polsi. Ha detto anche alle maestre di farlo, di legarci. È stato il giorno più brutto della mia vita. All'inizio spiegava piano poi ha iniziato a urlare, diceva che nel Mediterraneo tanti bambini muoiono. Cercavamo di fare passare il tempo, farlo passare, avevamo paura, sembrava non finire più». E ancora: «Si fermava ogni tanto per mettere la benzina su tutto il corridoio del pullman, non capivamo bene quello che succedeva, ha ritirato i cellulari».

Tutti tranne uno, quello del ragazzino-eroe: «L'avevo nascosto in tasca. Sono riuscito a fare il 112 e a dare l'allarme».

Oggi il preside dovrà premiarlo. Se la brutta avventura non si è trasformata di una strage, il merito è soprattutto suo.

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