Nel mezzo di una guerra, la Bce gioca a Risiko. Uno spostamento delle pedine, sulla mappa della politica monetaria, che non promette nulla di buono per l'Italia. Perché lì, a Francoforte, sta suonando la ritirata dagli aiuti. Forte e chiara. È il prevalere dell'aggressività rispetto alla cautela, è la vittoria dei falchi decisi ad affrontare a muso duro, costi quel costi, l'idra dell'inflazione. Vincono loro con la decisione di mandare sul binario morto il vecchio Qe di Mario Draghi già nel terzo trimestre, in anticipo rispetto alla tabella di marcia, se i dati in arrivo confermeranno lo scenario di tensione sui prezzi al consumo. Il «se» è solo una quinta di cartone: tutto appare già scritto, preordinato fin dall'intenzione di tagliare gli acquisti di titoli dai 40 miliardi ad aprile, ai 30 di maggio, fino ai 20 miliardi di giugno. Poi, il nulla o quasi, visto che il Pepp (il pacchetto di aiuti contro la pandemia da 1.850 miliardi di euro) arriverà a fine corsa questo mese. Così, si apre un'autostrada verso la stretta sui tassi.
Vistosa spilla con i colori della bandiera ucraina appuntata al bavero della giacca e faccia sempre più tirata, Chistine Lagarde si è presentata ieri in conferenza stampa per spiegare che «vi sono state molte discussioni, molte proposte diverse, ma alla fine c'è stata la determinazione di supportare la proposta del capoeconomista Philip Lane circa le decisioni annunciate. Serve un approccio bilanciato per rispettare il mandato di stabilità dei prezzi». L'«approccio bilanciato» è quello che in pochi minuti ha fatto schizzare di 24 punti base il rendimento dei Btp decennali, all'1,92%, lo spread verso il Bund tedesco a quota 163 e dato un'altra picconata alle Borse (156 i miliardi di capitalizzazione bruciati dai listini europei), a cominciare da quella di Milano (-4,2% ).
Una doccia gelata su chi si aspettava, stante la situazione, la messa in campo di strumenti adatti per affrontare l'emergenza. Nessuno aveva previsto un orientamento così restrittivo; nessuno pensava di dover fare i conti con il possibile remake del film horror girato nel 2011 dall'allora capo della Bce, Jean-Claude Trichet. Allora, furono piazzati due rialzi dei tassi ravvicinati per combattere il carovita, la pagliuzza. La trave, non vista, fu la crisi del debito sovrano in arrivo sul primo binario, accentuatasi a causa di quelle mosse dissennate.
Adesso si rischia di ripetere lo stesso errore pretendendo di governare l'ingovernabile - uno choc dal lato dell'offerta - con una strategia che trascinerà probabilmente in recessione l'eurozona, anche se Francoforte spera ancora di chiudere l'anno con una crescita oscillante fra il 3,7% (scenario ottimistico) e il 2,3% (scenario grave). «Il conflitto Russia-Ucraina avrà un impatto materiale sull'attività economica e sull'inflazione», ha detto la Lagarde. Ma qui non si tratta solo di sacrificare la ripresa pur di mettere nell'angolo un carovita che a fine anno, in base alle stime, sarà attestato al 5,1%. La posta in gioco è molto più alta. La Fed ha mani quasi libere nel combattere l'inflazione (7,9% in febbraio), ma non la Bce. Perché il tapering è la benzina perfetta per incendiare i rendimenti dei titoli dei Paesi più esposti finanziariamente. Ha un bel dire la banchiera francese che ieri l'istituto «non ha accelerato il passo di normalizzazione della sua politica monetaria». E ha un bel dire il vicepresidente, Luis de Guindos, secondo cui «abbiamo visto alti e bassi, ma gli spread sono rimasti abbastanza contenuti».
Salvo dimenticare che le tensioni sui differenziali si erano manifestate prima del conflitto Mosca-Kiev, in concomitanza con l'uscita infelice di Madame Lagarde sul giro di vite ai tassi. Senza il paracadute della Bce, senza eurobond e senza la riforma del Patto di stabilità si prospettano tempi davvero duri. Non era questo il momento per far la faccia feroce all'interno dei confini di Eurolandia.
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