Ai tempi dei social, la festa della mamma diventa una condivisione collettiva di amore e ricordi. Fotografie in bianconero sgualcite nei decenni, bellezze degli anni passati con pettinature cotonate o laccate, anziane dolcissime che salutano i propri figli adulti con un selfie, proprio come fanno i loro nipotini. Ognuno celebra la ricorrenza a seconda dello stato d'animo e della piega presa dalla vita, con struggimento per la madre perduta o con la gioia infinita di averla al fianco. Poi, per tutti gli italiani, esiste un'altra madre oltre a quella naturale, quella «politica». «Non dobbiamo dimenticare che la nostra seconda mamma è la patria. Ricordiamocelo sempre» ha sottolineato Giorgia Meloni, commossa con un cappello da generale alpino e un giubbotto nero sportivo all'adunata delle penne nere di Udine.
L'amore per il proprio Paese è uno dei valori fondamentali che rende grandi tutte le terre del mondo, in ogni latitudine. Forse il discorso è più complicato in Italia, dove retaggi sessantottini e tardocomunisti fanno scattare riflessi condizionati a sinistra. Ancora per tanti, troppi, la bandiera è un vessillo di parte, roba da nostalgici o fissati con la retorica patriottarda. Soltanto pochi mesi fa, all'avvio del governo Meloni, certi salotti editoriali avevano intravisto nell'uso della parola «Nazione», cara al presidente del Consiglio, un tic bismarkiano che evoca pulsioni di sopraffazione.
In effetti in tanti raduni di piazza con le bandiere rosse o manifestazioni violente di proteste, la parola «patria» non è stata mai pronunciata. Come se appartenesse solo a chi la esalta e non a tutti i nati nel territorio italiano.
Non è blasfemo accostare la propria terra alle donne che generano vita. La mamma è unica e insostituibile, senza voler aprire polemiche su «genitore 1», «genitore 2» e utero in affitto. Non è surrogabile anche la patria, non certo un concetto astratto da citare alle parate delle associazioni d'arma, ma il comune denominatore di un popolo.
Le tradizioni e il retroterra culturale sono le fondamenta di una società che deve guardare al futuro delle nuove generazioni. E questo deve essere un dato oggettivo, un elemento del Dna. Non da sbandierare ogni giorno, bensì un valore acquisito una volta per tutte. E per tutti.
La patria è mamma per chi l'ha costruita, per chi è caduto, per chi l'ha difesa al prezzo della propria vita, di deportazioni e torture. Diventa un puro esercizio di distinguo politico volere sostituire la parola con «Paese» o altre locuzioni, solo per non apparire appiattiti su una immaginaria destra nazionalista.
Forse qualcosa si sta muovendo nelle ultime settimane verso il compimento di uno sforzo collettivo per giungere a una memoria condivisa su tutti i grandi fatti che hanno segnato l'Italia unita dal 1861. Gli anglosassoni se la cavano con una frase efficacissima: «Right or wrong, my country», la nazione più forte di qualsiasi torto e ragione del momento.
Madrepatria suona sempre solenne e ricorda soprattutto il dolore degli esuli e il sacrificio dei martiri. Mamma Patria è più soave, quasi intimo.
Forse la frase del premier Meloni potrà costituire un tassellino nella percezione dell'Italia anche tra chi non la ritiene, per ideologia o rifiuto personale, una figura di famiglia. Benedetto il giorno in cui ci saranno solo italiani, né di destra né di sinistra.
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