Lo si può immaginare, perché no? Volodymyr Zelensky attore fra gli attori nella notte degli Oscar: sarebbe perfetto. In tuta mimetica, l'occhio pungente, un'allusione al vetriolo contro l'arcinemico Putin. E magari pronto a sferrare una battuta alla maniera del suo personaggio più famoso, l'insegnante di storia che nella serie televisiva «Servitore del Popolo» si ritrova a capo del governo. Potrebbe davvero succedere, se l'idea di invitarlo, appoggiata dal produttore esecutivo Will Packer, si realizzasse.
Tuttavia, l'arma di Zelensky sarebbe a doppio taglio. Perché verrebbe impugnata da chi lo accusa di trasformare la comunicazione di guerra in spettacolo, dove la realtà imita la finzione, e gli argomenti si scelgono non in base alla politica, ma a una tecnica da copione cinematografico. Zelensky ha evocato Churchill davanti al parlamento inglese, l'11 settembre e Martin Luther King in quello americano, il Muro di Berlino al Bundestag e la Shoah alla Knesset israeliana (suscitando reazioni scandalizzate degli ortodossi). Poi però, quando tutti si aspettavano che al Parlamento italiano calasse la carta scontata della Resistenza, ha verosimilmente fiutato il pericolo, limitandosi a citare Papa Francesco. Adesso? Se si presentasse davvero a Hollywood - in diretta o con un video registrato non farebbe molta differenza - resisterebbe alla tentazione di tirare in ballo «Il giorno più lungo» o «Salvate il soldato Ryan»? E gli gioverebbe l'origine ebraica, condivisa da molte illustri star di Hollywood?
Se puntasse all'applauso mediatico, lo otterrebbe probabilmente anche dalle folle collegate in tutto il mondo. Però, svanita l'emozione, si avvierebbe una riflessione sulla sua effettiva consistenza politica, e sul paradosso del comico chiamato a interpretare una parte. Verrebbe accusato di finzione propagandistica, come è successo a Oleksii Kyrychenko, che ha immortalato la figlioletta con un lecca-lecca e un fucile in mano, in posa da piccola vedetta in attesa dell'invasore russo, evidentemente calcolando l'effetto in anticipo. Zelensky potrebbe partecipare con profitto alla notte degli Oscar, ma a condizione di mettere a segno il cosiddetto effetto di spiazzamento: brevità e sobrietà, in controtendenza rispetto al tappeto rosso, la liturgia delle nominations, i flash, le scollature e le rituali lacrime di gioia alla consegna delle statuette. Ma qui si innescherebbe un altro paradosso. Perché proprio la platea degli Oscar, negli ultimi anni, si è trasformata in un palcoscenico politico in cui le star si sentono autorizzate a rilasciare dichiarazioni di ortodossia ultra radicale: meglio se riferite all'odiato Trump o in favore dell'immigrazione «umanitaria».
Così, il sobrio Zelensky rischierebbe d'essere surclassato da attrici militanti e registi con l'elmetto: anche se forse proprio questo giocherebbe a suo favore. E a qualcuno potrebbe venire in mente di inserire nei titoli di coda degli Oscar la battuta finale di «Pretty Woman»: «Questa è Hollywood, la città dei sogni. Alcuni si avverano, altri no. Ma continuate a sognare».
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