I nostri 50mila ragazzi respinti alla frontiera di un futuro migliore

Come le Università non possono ospitare tutti, così un Paese non può garantire lavoro, casa e dignità a un numero infinito di immigrati

I nostri 50mila ragazzi respinti alla frontiera di un futuro migliore

Sessantamila studenti hanno svolto ieri il test di accesso alle facoltà universitarie di Medicina. Diecimila sono i posti a disposizione, cioè soltanto uno su sei di questi ragazzi appena maggiorenni riuscirà ad iniziare gli studi per realizzare il proprio sogno. Che per molti di loro non è solo una passione, ma l'occasione di scalare la piramide sociale ed economica. Tra quei sessantamila ci sono infatti figli di papà benestanti, ma anche di operai e impiegati al minimo di stipendio o magari addirittura di lavoratori in cassa integrazione. Agli aspiranti medici non basterà aver dimostrato di possedere i requisiti, cioè superare i discussi e a volte ridicoli test (non si capisce per esempio perché debbano sapere a memoria la città che ha ospitato l'Expo del 1900). Il loro destino dipende pure dalla disponibilità di posti negli Atenei, che non sono infiniti, ma sono quelli compatibili con le strutture a disposizione, la capienza del corpo docente e le previsioni sulle necessità di nuovi ingressi nel mercato del lavoro. Morale: cinquantamila giovani italiani dovranno quest'anno rinunciare a un sogno che, come detto, per molti di loro rappresenta pure un ascensore sociale.

Requisiti e possibilità reale di inserimento: è la dura legge del mercato, cinica fin che si vuole (all'estero la selezione è fatta con altri metodi, il risultato è lo stesso), ma presupposto di una società che intenda svilupparsi in maniera equilibrata e giusta e non come fabbrica di disoccupati, illusi o falliti. Quello che non capisco è perché una ricetta che imponiamo con rigore e severità ai nostri figli - e che determina il loro futuro - non la si possa adottare anche per gestire e risolvere una volta per tutte il problema dell'immigrazione: porte aperte a chi ha i requisiti (cioè sta realmente fuggendo da pericoli gravi come guerre o persecuzioni politiche e religiose), numero chiuso invece in base alle nostre disponibilità economiche, abitative e occupazionali per chi è legittimamente in cerca di un ascensore sociale ed economico.

Come le Università non possono ospitare tutti, così un Paese non può garantire lavoro, casa e dignità a un numero infinito di immigrati. La speranza del figlio di nostri contadini di diventare medico non vale meno di quella del giovane marocchino di aspirare a una vita migliore in Occidente.

Entrambe vanno assecondate e aiutate nel limite di ciò che è possibile nei fatti, senza creare squilibri sociali o ingiustizie. E non c'è nulla di razzista o «bestiale», per usare un termine alla ribalta della cronaca, nel sostenere questo.

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