Padre Mussie Zerai, l'icona buonista, salvatore dei migranti, candidato al premio Nobel per la pace e amico della presidente della Camera, Laura Boldrini, è indagato dalla procura di Trapani. I magistrati vogliono vederci chiaro sul suo ruolo di «salvagente dei migranti» emerso nell'inchiesta sulle Ong e dal sequestro della nave olandese Juventa. Padre Zerai assieme ad altre persone, pure indagate delle Organizzazioni umanitarie che recuperano i migranti, segnalava l'arrivo dei barconi. Il punto è capire se fossero legittime richieste di salvataggio o favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, il reato ipotizzato. Lo stesso sacerdote eritreo ha ammesso di aver «saputo soltanto lunedì dell'indagine. Sono rientrato a Roma dall'Etiopia di proposito. In passato ricevevo moltissime telefonate ogni giorno. Oggi ne ricevo molte meno, non saprei dire perché, ma il mio intervento è sempre stato a scopo umanitario».
L'indagine è partita lo scorso settembre e il Giornale ha rivelato sabato il coinvolgimento di Zerai. Il sacerdote eritreo segnalava i barconi da recuperare anche in una chat parallela ai soccorsi ufficiali fra i responsabili delle Ong presenti nel Mediterraneo. Lui stesso ha affermato di aver informato Medici senza frontiere, che si rifiuta di firmare il codice di condotta del Viminale, e la Ong radicale tedesca Sea Watch. Oltre a WhatchTheMed, un sistema di allarme telefonico che punta a far recuperare qualsiasi barcone nel Mediterraneo senza alcuna distinzione fra profughi e clandestini. Gli addetti della sicurezza intercettati a bordo di una delle navi delle Ong hanno chiaramente denunciato «la stranezza del fatto che noi ci recavamo sul posto e trovavamo il gommone» grazie alle informazioni ricevute. E non sempre c'era un pericolo imminente di vita, che giustificasse il salvataggio. Non solo: la Marina ha subito pressioni e ricatti da parte di padre Zerai, che in pratica intimava di andare a recuperare i migranti altrimenti avrebbe denunciato un'ipotetica omissione di soccorso. Ed il regime autoritario eritreo accusa da tempo il sacerdote di far parte di una «cricca» di attivisti dei diritti umani in Europa, che in realtà favorisce l'immigrazione clandestina e ha interessi politici.
Prima dell'avviso di garanzia il quotidiano Avvenire ci ha accusato di «linciaggio mediatico» e padre Zerai minaccia querele, ma non deve essere un caso la decisione del Vaticano che tempo fa lo ha trasferito a sorpresa da Roma alla lontana parrocchia svizzera di Friburgo. E l'inchiesta di Trapani o altri filoni di indagine potrebbero aprire squarci clamorosi sul ruolo del sacerdote.
Il prete eritreo, che si crede il Mosè dei migranti, si discolpa sostenendo che «tutte le segnalazioni sono il frutto di richieste di aiuto, che mi sono state indirizzate non da battelli in partenza dalla Libia, ovvero al momento di salpare, ma da natanti in difficoltà al largo delle coste africane, al di fuori delle acque territoriali libiche e comunque dopo ore di navigazione precaria e pericolosa».
Ambienti eritrei, però, puntano il dito contro il sacerdote sostenendo che favorisse gli arrivi in Italia non solo dei connazionali, ma aiutasse anche gli etiopi a sbarcare da noi. Non hanno diritto all'asilo, ma spacciandosi per eritrei possono facilmente aspirare alla qualifica di rifugiato. Già due anni fa l'ambasciatore austriaco in Etiopia, Andreas Melan, aveva denunciato l'inghippo sostenendo che «il 30-40% dei rifugiati eritrei in Europa sono in realtà etiopi». La faccenda e le accuse a Zerai sono state segnalate informalmente alla Guardia di Finanza di Udine, ma in Friuli-Venezia Giulia non c'è stato alcun seguito di indagine.
Adesso l'avviso di garanzia della procura di Trapani servirà a capire
se l'icona buonista dell'immigrazione ha superato, o meno, la linea rossa del favoreggiamento dell'immigrazione clandestina grazie ad una tolleranza generalizzata, che fino ad oggi era la norma.www.gliocchidellaguerra.it
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