I rischi di un antisemitismo grave ma non serio

Antisemitismo: quando le battute satiriche sono dementi e sacrileghe, ma non "serie"

I rischi di un antisemitismo grave ma non serio
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Esiste un antisemitismo grave ma non serio (antisemitismo è già un parolone: diciamo un battutame contro gli ebrei) che è molto più demente che demenziale, più sacrilego che dissacratorio, qualcosa che non scherza coi fanti ma solamente coi santi perché è più blasfemo, irriverente rispetto all'ordine costituito: nasce paradossalmente nelle democrazie più mature (come il black humor britannico o la satira di Charlie Hebdo) e non scherza con gli ebrei, ma con tutto ciò che non meriterebbe neanche la più innocente battuta, mai, come le varie categorie del razzismo storico («i negri») e gli handicappati, i pedofili, i bambini, i malati terminali, i poveri, ciò che esporrebbe alla pubblica gogna ogni carbonaro in incognito che fosse scoperto a scherzare anche solo privatamente su certe cose: non ci sarebbe perdono (e infatti non c'è) e ogni ovvia conseguenza ne sarebbe tratta, com'è giusto: anche se un certo giornalismo che si infiltra nella buffoneria privata delle persone (sia essa una buffoneria di strada o di corte) ricorda vagamente l'orwelliana polizia del pensiero, e comunque un pizzico di schifo lo fa.

Certo battutame segreto sugli ebrei, tornando al tema, è intelligente e giustificabile come può esserlo una gara di bestemmie, ciò che a tutt'oggi furoreggia su internet oltre l'immaginabile, e che un tempo era specialità delle nazioni (regioni) più antiche e all'avanguardia della nostra Storia, come il Veneto e la Toscana: e, se oggigiorno i moccoli sono un po' calati, è solo per la perdita di sacralità della società e la secolarizzazione della Chiesa cattolica.

Questo è un punto importante, perché la questione ebraica e l'esistenza di Israele sono invece tutt'altro che secolarizzate: sia per le crescenti prese di coscienza sulla Shoah negli ultimi decenni, sia perché essere ebrei, oggi, è tornato a essere decisamente complicato visto che in Israele agli ebrei sparano (a dir poco) e neanche nel resto dell'Occidente se la passano troppo bene. La questione ebraica è tornata a essere particolarmente attuale e dannatamente seria, perciò esposta e «sacrale» (ambiente prediletto dello scherno) anche perché molto presente: si ricorda Liliana Segre (nella foto) quando nel gennaio 2023 (giorno della Memoria) paventò il rischio che la gente dicesse «che noia questi ebrei» e si stufasse di sentirne parlare. Liliana Segre che, ieri, ha anche detto che certe battute «nascoste, non esibite, ci sono sempre state». Ma sinché siamo alle battute, nostra opinione, non c'entra niente paventare anche presunte «nostalgie fasciste» o addirittura «rigurgiti nazistoidi» come ha detto, pure ieri, Gianfranco Fini. E sbaglierebbe parecchio chi pensasse che un certo battutismo segretamente antisemita (o più semplicemente «anti») fosse distribuito in prevalenza a destra, e non se la testimonianza dello scrivente vale qualcosa soprattutto in ambienti benestanti più woke, creativi, artistici e politicamente disimpegnati della sinistra soprattutto milanese, almeno per quanto verificato: contesti peraltro prossimi a un conformismo filo-palestinese la cui interfaccia logica è il rischio di un antisemitismo vero, quello che ha nella cancellazione fisica di Israele la propria missione, e questo assai prima del consolidamento di una patria per i palestinesi.

Il contesto reale è questo: non contano tanto le battute private e irrilevanti, ma contano e molto le azioni pubbliche e rilevanti, le azioni politiche che hanno conseguenze. Sono quest'ultime che si dovrebbero giudicare.

E resta da incorniciare, perciò, quanto detto l'altro giorno dal presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun: «Ultimamente vedo anche tra gli antifascisti un po' troppi antisemiti. Le parole ingannano. Io guardo alla sostanza».

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