C'è Cristeta Comerford, che ha cucinato per cinque inquilini della Casa Bianca, da Bill Clinton a Joe Biden, preparando loro dallo spuntino spezzafame alla cena di rappresentanza, e che non lavorerà per il prossimo presidente, perché è appena andata in pensione, ma ricorca con nostalgia le enchiladas tanto amate da George W. Bush e quando Barack Obama le chiedeva, lui originario delle Hawaii, di cucinare piatti della sua terra di origine, le Filippine.
C'è Fabrice Desvignes, che da tre anni è il capo della brigata che cucina all'Eliseo, e che in precedenza è stato lo chef del Senato parigino, posto al quale fu assunto «mandando un curriculum».
C'è Mark Flanagan, che cucina per i reali inglesi che «sono molto attenti alla stagionalità e alla salubrità degli ingredienti» e «mangiano molto pesce e molte verdure».
E c'è il padrone di casa, Fabrizio Boca, che con il suo sous chef Massimo Sprega cucina al Quirinale. I due rappresentano l'Italia al raduno annuale degli Chefs des Chefs, l'associazione che riunisce i cuochi che sfamano i leader del mondo. E che quest'anno si sono ritrovati in Italia, dove dal 29 settembre sono in giro per scoprire i sapori del nostro Paese, E magari riportare qualche suggestione nei futuri piatti serviti a re, principi e presidenti, democratici o meno.
Il G20 della cucina è partito da Roma, dove gli chef presidenziali sono stati anche al Quirinale, ricevuti dal presidente Sergio Mattarella, poi hanno risalito la penisola e ieri sono stati al castello di Bedonia, nell'alta Val di Taro, ospiti della azienda casearia Ferrari Giovanni, che produce Parmigiano Reggiano e Grana Padano, e poi all'abbazia di Chiaravalle.
L'associazione Chefs des Chefs è stata fondata nel 1977 da Gilles Bragard, che in una brumosa sera di novembre invitò alcuni amici a Collonges, in Francia, per una cena preparata niente di meno che da Paule Bocuse, «presidente» della nouvelle cuisine e tra gli chef più influenti della storia mondiale della gastronomia. Siccome a quella cena partecipavano anche alcuni cuochi presidenziali nacque l'idea di un'associazione in cui scambiarsi non tanto ricette ma spunti di riflessione da punti di vista decisamente particolari.
In Italia sono una ventina gli chef presenti per il grand tour gastronomico. C'è l'indiano Amit Gothwal e il cinese Xu Long, c'è il finlandese Jyrki Jääskeläinen e la tedesca Caroline Dembiany, c'è il kazako Aleksandr Tregubenko e lo spagnolo José Roca. Nessuno di loro può svelare le abitudini gastronomiche dei loro esimi datori di lavoro, c'è un patto di discrezione, ma qualcuno si lascia sfuggire qualcosa. Come Boca, che rivela che al Quirinale l'aglio è bandito. Tutti però raccontano i colloqui tra di loro quando si avvicina un vertice per conoscere i gusti dei differenti leader ed evitare di presentare a tavola qualcosa di sgradito a qualcuno. Una specie di linea rossa ai massimi livelli, in cui si parla di bombe, sì, ma alla crema.
Gli chef dei capi di stato sono come i capi di una brigata di un ristorante che lavora sempre per lo stesso cliente. La creatività è necessaria, bisogna variare la proposta ogni giorno e non può esserci un menu degustazione.
Il club è presieduto da diciassette anni da Christian Garcia, che lavora per i principi di Monaco e che sintetizza tutto con una frase: «Se la politica divide, la buona tavola uisce». Sarà il cibo a salvare il mondo dal baratro a cui si avvicina ogni giorno di piForse
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