Ora lo sappiamo: lo scenario di una catastrofe umanitaria seguita da un esodo fuori controllo dall'Afghanistan delineato da Mario Draghi dopo il G20 di martedì non era una semplice ipotesi. Era la sintesi delle minacce proferite dai talebani nel corso degli incontri con le delegazioni internazionali succedutesi a Doha nei giorni precedenti. Insomma i ruvidi talebani crescono e si evolvono, ma non nella direzione della tolleranza e del rispetto dei diritti umani ipotizzata in questi mesi dalle «anima belle» occidentali bensì in quella del ricatto e dell'estorsione. Una direzione indicata in questi anni dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, vero pioniere di quel ricatto migratorio con cui ha estorto oltre sei miliardi all'Unione Europea. Ora, seguendo il suo esempio, i talebani tentano di convincere l'Occidente a sbloccare le loro riserve valutarie, scongelare gli aiuti internazionali e riconoscere l'Emirato. Il ricatto, sussurrato alle orecchie dei delegati di Usa e Ue transitati per Doha nell'ultima settimana, è diventato verbo ufficiale all'indomani del G20.
Messi da parte i kalashnikov e imbracciate le armi della propaganda politica, i talebani hanno atteso che le parole di Draghi regalassero concretezza all'ipotesi di un esodo fuori controllo e hanno trasformato gli avvertimenti in una nota ufficiale firmata dal ministro degli esteri dell'Emirato Amir Khan Muttaqi. «Indebolire il governo afghano con le sanzioni non è nell'interesse di nessuno, perché gli effetti negativi toccherebbero direttamente il resto del mondo nell'ambito della sicurezza e delle migrazioni economiche dal Paese» - spiega la nota in cui Muttaqi riassume quanto già spiegato martedì alle delegazione di Stati Uniti e Unione Europea arrivate a Doha per trattare con i talebani. «Invitiamo i Paesi del mondo a porre fine alle sanzioni esistenti e a permettere alle banche di operare normalmente, in modo che i gruppi umanitari, le organizzazioni e il governo possano pagare gli stipendi ai propri dipendenti con le proprie riserve e l'assistenza finanziaria internazionale» - ha proseguito Muttaqi.
Immaginare a cosa punti il ricatto talebano non è difficile. Il primo obbiettivo è lo sblocco delle riserve valutarie del paese, seguito dalla ripresa degli aiuti internazionali e dal riconoscimento diplomatico. Per quanto riguarda il primo punto, il ricatto è in parte fuori bersaglio. Le riserve valutarie e aurifere da oltre 9 miliardi dello stato afghano sono depositate a New York e sono state bloccate dalle autorità statunitensi che difficilmente si piegheranno davanti ad un'ondata migratoria destinata a colpire i paesi europei. Non a caso martedì, 24 ore prima che la minaccia talebana venisse ufficializzata, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen aveva già annunciato lo stanziamento di un fondo da oltre un miliardo destinato agli aiuti. Aiuti che in base alle decisioni del G20 verranno distribuiti alla popolazione dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Davanti alla predisposizione al ricatto esibita dai talebani diventa, però, inevitabile chiedersi fino a quando sarà ammissibile piegare la testa. Al ricatto migratorio rischia di seguire la ben più grave minaccia di liberarsi dei terroristi dell'Isis mescolandoli ai migranti in uscita.
Un ricatto che ci riporterebbe di colpo a quel 2015 in cui l'insostenibile pressione migratoria si sommava al rischio praticamente quotidiano di attentati. E a quel punto la sconfitta di un Occidente riportato indietro di 20 anni in pochi mesi sarebbe definitiva e completa.
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