Sindaci rossi (di vergogna)

I vizi capitali del potere dem. Le metropoli dell'ignavia e del cinismo

Sindaci rossi (di vergogna)
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Le città del Pd sono un vizio capitale. Roberto Gualtieri sta davvero facendo concorrenza a Virginia Raggi. Lo fa a modo suo, sparendo. Non è mai stato facile governare Roma e infatti l'ultimo sindaco non ci sta neppure provando. La lascia andare, come una zattera in mezzo al Tevere, che sbanda di qua e di là disegnando un destino sempre più misero, con questa cloaca a cielo aperto che ormai è parte dell'orizzonte, come il Cupolone e il Colosseo, tanto che i turisti spaesati si chiedono se perfino la monnezza non sia un effetto speciale, un tratto caratteristico di una storia senza tempo. Roma puzza e l'olezzo ti segue di strada in strada, dall'Esquilino fino al Pantheon, da Piazza Navona alla periferia più lontana. Il caldo esalta gli odori. Bolle e ribolle e consuma il sacrificio della città eterna. Non sono neppure i rifiuti però il vero malanno. La Roma di Gualtieri sopravvive a se stessa, senza incanti, senza speranze e sembra incarnare lo spirito di quest'uomo che davanti a ogni scelta, da sempre, si gira dall'altra parte. Il suo progetto politico è l'indifferenza. Se c'è un problema l'importante è non fare l'onda e così resta fermo, immobile, come il semaforo prodiano di Corrado Guzzanti, senza però avere la statura dell'ulivo originale. Gualtieri è il vero sogno del piddino qualunque: occupare la poltrona per il solo gusto di farlo. È il potere per il potere. È immergersi fino al midollo nel decadentismo della politica, sostituendo la sacra cetra di Nerone con una chitarra da indianata in spiaggia. La Roma di Gualtieri non ha una vocazione, non c'è un progetto, non ha un orizzonte. Il sindaco sembra perfino vittima di una sinistra che giorno dopo giorno si sta inabissando in una formula. Gualtieri è sospeso tra la Schlein e Conte, tanto che la sua stessa maggioranza Dem proprio ieri lo invita a fare qualcosa, soprattutto quel termovalorizzatore che sta invecchiando ancor prima di nascere. Gualtieri è l'ignavia.

La protervia invece se la sta assicurando Beppe Sala. È il sogno di una città per pochi, dove per entrare ti tocca pagare. I pendolari sono un fastidio e se arrivano gli tocca una tassa medievale, con l'aggravante del peccato morale di concorrere a snaturare madre terra.

Sala sogna una Milano a misura della sua classe sociale, dove buongiorno non vuol dire mai veramente buon giorno, dove non c'è posto per chi non è abbastanza ricco e come in un romanzo di fantascienza la violenza è tollerata solo in ben determinate zone di combattimento. Milano è la città del futuro, ma è un futuro che solo pochi si possono permettere.

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