Il metodo ormai è «antico» e la sua efficacia scontata. In tutta Italia gli affiliati della 'ndrangheta - grazie alla complicità di imprenditori dall'apparenza immacolata, ma anche «affamati» di evasione, sfibrati dall'usura e decisi al tutto per tutto pur di sbaragliare la concorrenza onesta - hanno a disposizione attività importantissime e legali, come consorzi e cooperative nei settori di logistica, pulizie, trasporto, facchinaggio e ristorazione. Ed è così che quegli stessi imprenditori da vittime si trasformano nello strumento di arricchimento prediletto dell'associazione mafiosa. Mostrandoci il volto di quella che è la vera 'ndrangheta di oggi. «Che, tanto per sfatare una sorta di mito, non usa più due pesi e due misure, lavorando sottotraccia al nord e mettendo le bombe al sud - ci spiega da Roma il prefetto Francesco Messina, Direttore centrale anticrimine -, ma s'insinua nella cosiddetta economia pulita, al porto di Gioia Tauro, così come nel settore dei trasporti comasco, al solo e unico scopo di mantenere la propria egemonia nel traffico della cocaina».
Da qui l'importanza della maxi inchiesta con tre operazioni antimafia, il recupero (in pieno lockdown!) di una tonnellata di cocaina proveniente dal Sudamerica, 104 misure cautelari e il sequestro preventivo di aziende, beni immobili, terreni e rapporti finanziari, ha decapitato la cosca Molé di Gioia Tauro, le sue ramificazioni in Lombardia e Toscana, ma anche le proiezioni del clan all'estero. Le indagini, coordinate dalle Direzione distrettuali antimafia di Reggio Calabria, Milano e Firenze, hanno scoperto gruppi criminali che, seppur dotati di una certa autonomia, operavano in stretta sinergia.
La cocaina arrivava in Calabria ma anche a Livorno. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, autoriciclaggio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, produzione, traffico e cessione di sostanze stupefacenti, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione.
Per quanto riguarda Reggio Calabria le indagini, coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri, hanno portato a 36 ordinanze di custodia cautelare. Trentuno indagati sono finiti in carcere e tra questi capi e gregari dei Molé. La Procura di Reggio ha stroncato così la «nuova narcos europea», come la definivano gli indagati in un'intercettazione che ha dato il nome all'intera operazione della squadra mobile e dello Sco.
Sono 54, invece, i provvedimenti di fermo eseguiti tra la Lombardia e la Svizzera dalla Procura distrettuale di Milano che ha ricostruito la rete di società utilizzate dalla ndrangheta per riciclare il denaro ricavato attraverso le attività criminali. L'inchiesta ritiene di aver ricostruito la storia di circa quindici anni di presenza della criminalità organizzata di origine calabrese nel territorio a cavallo tra le province di Como e Varese, evidenziandone la vocazione sempre più imprenditoriale e svelandone le modalità di mimetizzazione e compenetrazione con il tessuto economico-legale. Tra gli indagati ci sono anche l'ex sindaco di Lomazzo (Como) Marino Carugati, quindi un ex assessore della giunta che era guidata dal primo cittadino (entrambi, tra l'altro, già condannati per bancarotta).
Anche il finanziere Michele Contessa, come si legge nelle quasi 1500 pagine del decreto di fermo dei pm milanesi, è un «soggetto a libro paga della famiglia Salerni» che, in cambio di denaro, avrebbe compiuto «atti contrari ai doveri d'ufficio», ossia «comunica informazioni riservate». La procuratrice aggiunta Alessandra Dolci ha messo in luce i «rapporti» tra il clan, attivo in Lombardia soprattutto tra le province di Varese e Como, e i due ex pubblici amministratori.
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