La politica estera, la soddisfazione per il giudizio sull'Italia di Standard and Poor's e il dossier migranti. Quest'ultimo sempre più caldo perché i numeri forniti dal governo certificano che gli sbarchi sono ormai quadruplicati rispetto allo scorso anno (35.085 tra il primo gennaio e il 21 aprile 2023, contro gli 8.669 e gli 8.604 dello stesso periodo del 2022 e 2021). Non è certo colpa dell'esecutivo, perché l'incremento è evidentemente dovuto a ragioni esterne. Non solo a un quadro geopolitico decisamente più critico in Libia o Tunisia, ma pure ai cambiamenti climatici che sempre di più vedi Filippine e Bangladesh fanno da volano alla spinta migratoria. Su questo fronte, però, non solo la premier Giorgia Meloni ma pure il vicepremier Matteo Salvini si sono spesi in campagna elettorale promettendo «risposte certe». E per quanto dipendano solo in piccola parte dall'azione del governo, è nelle cose che il dossier sia considerato a Palazzo Chigi tra quelli più sensibili. Tanto che proprio ieri, dopo aver incontrato la prima ministra della Danimarca, Matte Frederiksen, Meloni ha ribadito come sia necessaria una «gestione europea dei flussi migratori». Forse anche di questo avranno parlato Meloni e Salvini, che ieri - prima che la premier sentisse al telefono il presidente del Congo, Denis Sassou Nguesso - hanno avuto un lungo faccia a faccia. Per fare il punto, probabilmente, anche sulle molte tensioni interne delle ultime settimane. Tra i due, infatti, il rapporto è notoriamente complicato da tempo e il redde rationem sulle nomine ha, di fatto, messo fine alla tregua che ha caratterizzato questi primi sei mesi di governo. Come certificato dalla battaglia a suon di emendamenti sul decreto Cutro. Un fronte su cui il fastidio di Meloni, pur rimanendo sottotraccia, ha superato il livello di guardia. La premier, questo ha confidato in ripetute conversazioni, non ha infatti gradito il movimentismo di un Salvini che ha fatto il possibile per mandare il messaggio di una Lega sulle barricate, pronta a fare di tutto per tornare ai tempi dei decreti sicurezza di gialloverde memoria (quando il leader della Lega era a capo del Viminale nel Conte 1). Una sorta di guerriglia sotterranea al governo, visto che - per evidenti ragioni - il ruolo di presidente del Consiglio di Meloni la obbliga necessariamente a conciliare le sue posizioni sul tema migranti con le ragioni di Bruxelles e con quelle del Quirinale. A differenza di un Salvini che si può muovere con le mani decisamente più libere. Improbabile, dunque, che la questione non sia stata trattata. Anche perché la premier non ha per nulla piacere che all'esterno si possa avere la percezione di una differenza di vedute dentro la maggioranza. Anzi, nonostante l'approccio «movimentista» della Lega, Meloni con i suoi continua a predicare - davvero in modalità zen - la necessità di veicolare il messaggio di un governo compatto. Altro capitolo, poi, quello del Pnrr. Partita decisiva per le sorti dell'esecutivo, perché se si arrivasse ad una rottura con Bruxelles le conseguenze potrebbero essere incontrollabili anche in chiave interna. Un altro dossier su cui, di tanto in tanto, il Carroccio non pare muoversi in grande sintonia rispetto alle indicazioni di Raffaele Fitto, il ministro delle Politiche europee a cui Meloni ha affidato l'intero e decisivo dossier.
Ma proprio sul fronte dell'approccio del governo italiano all'Ue, ieri sera è arrivato il plauso di S&P, che ha confermato il rating «BBB» dell'Italia con outlook stabile. Meloni, si legge in una nota dell'agenzia, ha perseguito «un approccio moderato e pragmatico in relazione all'Ue e alla politica di bilancio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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