Annunciazione, annunciazione. «La prescrizione in Italia è unica al mondo». Svolgimento a cura di Piercamillo Davigo sul Fatto quotidiano. L'ormai ex magistrato, dismessa la toga, torna da cronista a disquisire di giustizia e dintorni: la prescrizione dei reati è «ragionevole» ma le modalità con cui viene applicata in Italia la rende dannosa. La fine è nota: secondo Davigo la colpa della sentenza sulla strage di Viareggio non è legata al fatto che il processo si è istruito quattro anni dopo la strage, ma è tutta da addebitare alla prescrizione, che ha «in parte vanificato le attese di giustizia delle vittime e dell'opinione pubblica» pur essendo «un istituto ragionevole» perché «se passa troppo tempo cessa l'interesse a ricostruire i fatti, a stabilire torti e ragioni, nel diritto penale a punire (tranne per delitti di estrema gravità che sono imprescrittibili)». Certo, Davigo arriva persino a riabilitare la famigerata legge firmata da Edmondo Cirielli che aveva «meritoriamente proposto di sterilizzare in parte aggravanti e attenuanti per il computo della prescrizione». Poi però la norma fu stravolta (verissimo) e qui la penna di Davigo torna a intingersi nell'inchiostro forcaiolo: «Una sentenza di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione non è una sentenza di assoluzione, anzi se interviene nei gradi di appello e Cassazione, talvolta conferma le statuizioni civili, cioè la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni a favore delle vittime e ultimamente in talune ipotesi la confisca», meccanismo su cui si fonda la riforma Pd-M5s che blocca la prescrizione dopo il primo grado e condanna la giustizia e gli innocenti (ci sono, dottor Davigo, ci sono) finiti per sbaglio alla sbarra al «fine processo (e pena) mai».
In cauda venenum, il veleno alla fine. Davigo affonda il colpo contro chi impugna le sentenze: «Gli appelli servono a differire l'esecuzione della pena e confidare nel sopraggiungere della prescrizione e riducono il tempo che i giudici possono dedicare a ciascun processo». Verissimo.
Dovrebbe dirselo allo specchio, visto che contro la sua cacciata al Csm decisa dai suoi ex colleghi lo stesso Davigo ha presentato più di un appello (prima al Tar poi al Consiglio di Stato) perché non accetta di finire ai giardinetti. La risposta ai suoi «appelli» è stata la stessa: rivolgiti al giudice ordinario. Così, tanto per ingolfare la giustizia.
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