Le fiamme hanno avvolto sabato notte il famigerato carcere di Evin, dove sono rinchiusi prigionieri politici iraniani. I video online mostravano fumo e si sentivano spari ed esplosioni, che hanno preoccupato Ong e famigliari per il destino dei detenuti. L'incendio è scoppiato dopo settimane di proteste antigovernative in tutto l'Iran successive alla morte di Mahsa Amini, la 22enne curda morta il 16 settembre dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto. Un'ondata di manifestazioni ha travolto l'Iran nella sfida più audace alla Repubblica islamica dalla sua fondazione nel 1979. Non è ancora noto se la situazione al carcere sia legata alle recenti proteste. Ma potrebbe essere così, dato che centinaia di dimostranti sono stati rinchiusi proprio a Evin. Alla fine il bilancio è di quattro morti e 61 feriti. Le vittime sono decedute per soffocamento, tra i feriti 4 sono gravi, mentre altri 70 detenuti sono stati tratti in salvo. Il numero delle vittime però potrebbe essere più alto. Ad Evin c'è anche l'italiana Alessia Piperno, arrestata il 28 settembre scorso. Secondo la Farnesina, però, Alessia sta bene.
La rivolta continua in tutto il Paese. Fuori dal carcere si sentiva cantare «morte al dittatore», uno dei principali slogan del movimento di protesta. L'agenzia di stampa Fars - che è collegata ai Pasdaran - ha inizialmente affermato che gli scoppi erano dovuti all'esplosione di mine dopo un'evasione dalla prigione. Più tardi, tuttavia, l'agenzia ha affermato che non era così. Le famiglie di alcuni attivisti si sono radunate davanti al carcere e hanno espresso preoccupazione per la salute dei loro cari. «Gli scontri nella prigione non sono legati ai recenti disordini», ha affermato la Procura di Teheran. La rivolta, secondo il pubblico ministero, sarebbe scoppiata ad opera di un gruppo di detenuti di un reparto in cui sono incarcerati «banditi e teppisti» che hanno provocato lo scoppio di un incendio nel magazzino degli abiti della prigione. Ora nel carcere è tornata la calma.
È intervenuto il presidente Usa Joe Biden che così ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano della rivolta a Evin: «Il governo iraniano è così oppressivo, non si può avere altro che un enorme rispetto per chi dimostra nelle strade. Devo ammettere che sono rimasto sorpreso, non dalla risposta del regime, ma dal coraggio della gente e delle donne scese in piazza». Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, dopo le dichiarazioni di Biden ha replicato. «L'Iran non sarà indebolito dalle interferenze e dalle dichiarazioni di un politico esausto. La vostra abitudine è di abusare di situazioni di disordine, ma ricordate: qui c'è l'Iran», ha intimato Kanani.
Ad Evin sono imprigionati anche personaggi importanti del Paese tra cui il regista Jafar Panahi e l'ex parlamentare attivista dei diritti umani Faezeh Hashemi Rafsanjani, figlia dell'ex presidente iraniano morto nel 2017. La prigione è stata a lungo criticata dalle Ong occidentali. Human Rights Watch ha accusato le sue autorità di aver utilizzato minacce di tortura e detenzione a tempo indeterminato, oltre a lunghi interrogatori e diniego di cure mediche per i detenuti. Un gruppo di hacker che si fa chiamare Edalat-e Ali (La Giustizia di Ali) ha pubblicato video della prigione nell'agosto dello scorso anno che mostravano guardie che picchiavano e maltrattavano i detenuti. Alcuni governi stranieri i cui cittadini sono in carcere hanno espresso preoccupazione.
Un portavoce del dipartimento di Stato americano ha affermato che stava seguendo gli eventi con «urgenza», mentre il ministro della sicurezza del governo britannico ha definito quanto accaduto uno «sviluppo molto preoccupante».
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