Iran, lo sciopero del petrolio. Il Paese si ribella al regime

La protesta è diversa dal passato: è diffusa e non è solo politica. Il capo della magistratura: pronti ad ascoltare

Iran, lo sciopero del petrolio. Il Paese si ribella al  regime

Finalmente la rivolta iraniana splende anche nel resto del mondo da quando i media hanno dovuto accorgersene a forza. Anche gli odiatori di Trump si sono resi conto che la sua dichiarazione di sostegno alle ragazze e ai ragazzi che hanno invaso le strade con un coraggio da leone, dato il sanguinoso fallimento di tutte le altre rivoluzioni, svergognano il pallido atteggiamento del presidente Biden, e anche quello europeo. La stampa internazionale si è svegliata con l'evento dell'8 ottobre dopo un mese di scontri, quando il telegiornale di Stato è stato interrotto in diretta e, ad opera degli hacker rivoluzionari, è comparsa l'immagine avvolta nelle fiamme dell'inferno del leader supremo Khamenei, e delle ragazze ultime vittime della prepotenza del regime. È stato come un momento di estasi rivoluzionaria: la spirale di una possibile rivincita si protendeva palesemente in alto, fino a lambire quello che dal 1979 è un potere armato che coniuga la frenesia religiosa che tortura donne e cittadini, con l'imperialismo nazionalista terrorista. Arrivare fino al tg di Stato è un segnale forte, ed è ormai parte di un insieme che permette di dire che questa protesta è diversa da quelle sconfitte nel sangue del recente passato.

Intanto, il segno femminile della rivolta, donne che strappano il velo, ballano, ridono libere, è trascinante e meraviglioso, è una sfida così grande alla cultura dell'Iran degli ayatollah da costituire di per sé una spinta mai vista. «Donne, Vita, Libertà» dice lo slogan principale della protesta, indicando una generalizzata a profonda opposizione a islamizzare la grande, composita società persiana, di privare i suoi cittadini della libertà nelle sfere pubblica e privata. Non è un caso che dopo l'assassinio di Mahsa buttare via il velo seguiti a restare il principale simbolo, anche se, intanto, tanti giovani si sono rovesciati nelle piazze. L'imposizione del hijab è stata parte essenziale del piano di controllo e di marginalizzazione della donna; e il nuovo presidente Ebrahim Raisi è una scelta sfacciata che esclude qualsiasi ambizione di ricevere, una buona volta, i diritti umani, la conquista più preziosa dell'umanità. La resistenza culturale al regime aveva messo da parte l'oppressione delle donne, temendo che non fosse abbastanza universale. Adesso si vede che i ragazzi sono fieri di accodarsi alle donne che si tolgono il velo, di strapparle dalle mani dei Basiji, di usare (e non lo sapevano fare nel passato) mosse di karate e di ju jitsu faccia a faccia coi poliziotti impressionati. Appaiono anche armi e esplosivi nelle mani dei giovani. C'è una crisi evidente nelle forze dell'ordine, che sparano meno del solito anche se tuttavia compiono atti di orribile violenza che uccidono a decine, ma per ora non a migliaia. Nella cultura e nella politica, ci sono pubbliche dissociazioni. Scrive il capo del sistema giudiziario Masih Alinejad: «Sì, abbiamo fatto un errore, lo ammettiamo, se c'è una debolezza la correggeremo, sono pronto a parlare con i movimenti di protesta».

«Questa rivolta è diversa - spiega David Wurmser, famoso esperto di Iran, studioso americano del Center for Security Policy, ex consigliere di Dick Cheney - perché lo scontro non si svolge solo nelle piazze. È nelle province più lontane. Inoltre, le élite fuggono a notevoli gruppi dalla nave che affonda: gli intellettuali, gli artisti e le celebrità, la classe media, le teste pensanti, il mercato, i lavoratori del settore petrolchimico». Inoltre, quello che si muove è per la prima volta un'unità delle molteplici etnie iraniane, a Teheran, nelle province sunnite nel Sistan e nel Baluchistan, in quelle sciite presso Mashhad o Zahedan, la gente grida «Kurdistan, la luce dell'Iran», perché Mahsa era curda. Ragazze e ragazzi sotto i 25 anni, nuovi alla politica, sono decisi a vivere una vera vita e non un suo simulacro all'ombra delle forche komeiniste, mentre il regime si ingegna di costruire non il loro destino ma una bomba atomica che rafforzi la sua immagine terrificante.

L'Iran degli ayatollah ha forgiato un accordo di ferro, economico, energetico, militare, con la Russia di Putin; ma anche di fronte a questo evidentissimo indizio gli Usa di Biden non si decidono a chiudere il capitolo di un nuovo patto che come tutte le paci impossibili, favorirebbe solo un fiume di denaro e di armi verso gli ayatollah. Biden ha fatto sapere che tiene separati i due argomenti, rivoluzione e atomica: ma non è possibile. È lo stesso regime, quello che tortura la sua popolazione e estende un potere malefico mondo.

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