Israele al bivio decisivo: entrare a Rafah o trattare

I vertici dell'esercito hanno già pianificato l'invasione, pesano però le pressioni americane. E oggi si riapre il tavolo in Egitto

Israele al bivio decisivo: entrare a Rafah o trattare
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I combattimenti si trascinano a Gaza e i mediatori lottano per ottenere una tregua tra Hamas e Israele. È il capo di stato maggiore dell'Idf, Herzi Halevi, ad annunciare di aver approvato nuovi piani in vista dell'offensiva di Rafah. Mentre il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, sottolinea come lo Stato ebraico è obbligato a distruggere Hamas e a riportare a casa gli ostaggi. Il tempo stringe e la diplomazia ha sempre meno tempo: l'Egitto ha elaborato una nuova proposta di accordo che prevede il rilascio di venti ostaggi dalla Striscia di Gaza in cambio di un cessate il fuoco di tre settimane. E il Wall Street Journal rivela che l'obiettivo è anche quello di rinviare l'eventuale offensiva a Rafah.

Una delegazione di Hamas è attesa oggi al Cairo. Darà una risposta alla proposta di cessate il fuoco offerta dai mediatori e da Israele. Questa prevede un'iniziale pausa dei combattimenti, ma non è chiaro se porterà alla fine della guerra. Ora Tel Aviv si mostra più disponibile ad ascoltare i timori degli Stati Uniti. «Ci hanno assicurato che non entreranno a Rafah finché non si saranno confrontati con noi», ha detto il portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby. Mentre era attesa per ieri sera la telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Il premier vive un momento difficile, con il suo governo diviso sulla conduzione delle trattative. Secondo Benny Gantz, se l'esecutivo rifiuta l'accordo sugli ostaggi, «non avrà il diritto di continuare a esistere». La dichiarazione di Gantz arriva dopo che il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha avvertito che il gabinetto non avrà «nessun diritto all'esistenza» a meno che Israele non invada Rafah. L'accordo è una «resa umiliante» ai nazisti sulle spalle di centinaia di soldati «che sono morti», ha poi tuonato. Alle parole di Smotrich ha fatto eco il ministro di estrema destra Itamar Ben Gvir, che ha twittato che «un accordo sconsiderato equivale allo scioglimento del consiglio dei ministri».

Mentre sono parole di ansia e preoccupazione quelle del presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, dal World Economic Forum in corso a Riad: solo gli Stati Uniti possono impedire a Israele di attaccare Rafah, ma ha subito aggiunto di aspettarsi l'assalto nei prossimi giorni. Abu Mazen ha rivelato di essere «preoccupato che lo Stato ebraico cercherà di rimuovere i palestinesi dalla Cisgiordania dopo che lo avrà fatto nella Striscia di Gaza». Il presidente palestinese ha anche detto che occorre una soluzione politica che riunisca la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est in uno Stato palestinese indipendente, attraverso la convocazione di una conferenza internazionale.

Oggi è atteso in Arabia Saudita pure il capo della diplomazia statunitense, Antony Blinken. Ma, alla vigilia della sua missione a Riad, non sfugge agli osservatori come un'ipotetica normalizzazione tra lo Stato ebraico e il Paese del Golfo, dopo quasi sette mesi di guerra, sia quanto mai lontana. L'attacco di Hamas del 7 ottobre ha frenato quello che avrebbe potuto essere un successo di politica estera per Biden. Tuttavia per Riad la creazione di uno Stato palestinese è condizione sine qua non per la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele.

I sauditi avevano chiarito anche che avrebbero chiesto a Washington più garanzie di sicurezza e il sostegno al programma nucleare civile del Paese. Ma la sua approvazione è tutt'altro che scontata, nel contesto pre-elettorale americano.

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