Torino Il giudice che ha scarcerato Said Mechaquat - il 27enne italiano di origini marocchine che il 23 febbraio ha ammazzato con una coltellata alla gola Stefano Leo, il commesso biellese di 34 anni che lavorava in un negozio di Torino - ora chiede scusa alla famiglia della vittima, ma lo fa sottolinenando che «in questo caso i giudici hanno fatto quello che dovevano. C'è stato un problema nell'esecuzione della sentenza, me ne posso anche scusare, ma non è colpa nostra se i servizi di cancelleria sono carenti».
Parole che il presidente della Corte d'Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, pronuncia con le lacrime agli occhi e la voce strozzata dall'emozione, ben sapendo di dover dare una spiegazione - soprattutto ai genitori e agli amici di Stefano Leo - del perché il suo assassino era libero di girare, mentre in realtà avrebbe dovuto essere dietro le sbarre, anche se Barelli Innocenti ha però voluto sottolineare che «non c'è alcuna certezza che Said il 23 febbraio non potesse comunque essere libero». Di certo, c'è che nel 2015 Mechaquat è stato condannato a un anno e se mesi, senza sospensione condizionale della pena, per maltrattamenti in famiglia ai danni dell'ex compagna, la madre di suo figlio. La sentenza è diventata definitiva nel 2018, dopo che l'appello proposto dall'avvocato di Said è stato respinto perché «inammissibile» A quel punto la cancelleria della Corte d'Appello avrebbe dovuto trasmettere la sentenza definitiva alla procura. Ma l'ordine di carcerazione per colui che poi diventerà l'assassino di Stefano Leo non è mai stato emesso perché la sentenza di condanna irrevocabile si è fermata in Corte d'Appello il 18 aprile 2018, senza arrivare all'ufficio di esecuzione della procura. Se la pratica non si fosse «persa», è verosimile credere che Said sarebbe stato in carcere il 23 febbraio 2019 anziché ai Murazzi dove ha tagliato la gola a Stefano Leo.
«Vengano gli ispettori a vedere in che condizioni lavoriamo - ha aggiunto Barelli Innocenti - c'è stato un problema e faremo un'indagine interna accurata. Il cancelliere aveva il fascicolo di Said e altri mille. Prima di quella sentenza ce n'erano altre con condanne oltre i tre anni, per le quali si va direttamente in carcere. Nel caso di Said la sospensione della pena non c'era e l'ordine di carcerazione doveva essere emesso, ma se negli uffici c'è carenza di personale non è solo colpa nostra. Comunque come rappresentante della magistratura e dello Stato chiedo scusa alla famiglia. Ce la metteremo tutta affinché non possa più accadere una cosa simile, anche se non posso nemmeno garantirlo». Gli ispettori del ministero, come auspicato dal presidente Barelli Innocenti, hanno già disposto un'ispezione, per capire dove si è inceppata la macchina della giustizia impedendo che Said Mechaquat finisse in carcere. Il Guardasigilli vuol capire cosa è successo. Perché se la giustizia avesse fatto il suo corso oggi il giovane biellese sarebbe ancora vivo.
L'avvocato Nicoló Ferraris, che assiste i genitori della giovane vittima, commenta: «Trovo sorprendente che ci sia prima la conferenza stampa che un incontro con il legale della famiglia. In ogni caso prima di trarre ogni conclusione vogliamo vedere gli atti del procedimento che avrebbero determinato questo errore che laddove fosse confermato è evidentemente assai grave. La famiglia vuole approfondire la questione con le modalità di spiccata civiltà che ha contraddistinto fin dall'inizio ogni singola richiesta di giustizia».
Il presidente della Corte d'Assise d'Appello, Fabrizio Pasi, ha precisato che: «In questa vicenda ci sono una serie di coincidenze negative e dolorosissime». Coincidenze che hanno portato alla morte di Stefano Leo, un giovane bianco e felice, che rappresentava tutto ciò che Said odiava.
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