I precedenti di Giuseppe Conte non depongono a suo favore. Soprattutto quando si mette in testa di tirare la corda. L'ultimo, per dire, ha fatto scuola. Con il leader del M5s che ha aperto la strada della crisi in cerca di visibilità - e con la speranza di farsi gli ultimi sei mesi di legislatura all'opposizione - e si è poi ritrovato ad essere quello che ha dato il via libera alla slavina che fatto saltare il governo. La speranza, dunque, è che questa volta l'ex autoproclamato «avvocato del popolo» riesca a gestire l'ennesima accelerazione. Perché il rischio che le barricate tirate su ieri in Senato sul decreto Aiuti bis finiscano con un'altra valanga è piuttosto concreto. Con buona pace di famiglie e imprese, che davano già per acquisito il pacchetto di 17 miliardi di sostegni previsti dal decreto.
D'altra parte, l'ex premier è così. Istituzionale finché è stato a Palazzo Chigi, barricadero dal giorno dopo. A chiudere i porti con la Lega nel Conte 1 ed aprirli con il Pd nel Conte 2. Un professionista del situazionismo. E, dunque, siccome siamo in piena campagna elettorale, perché non sfruttare il campo da gioco del Senato per l'ennesima campagna propagandista? Che poi il decreto Aiuti bis fosse stato approvato in Consiglio dei ministri anche dagli esponenti del M5s è un dettaglio che nessuno ricorda. E pace se alla fine il decreto finisse davvero per non essere convertito in legge. Quei 17 miliardi già stanziati svanirebbero in un attimo, ma ovviamente - arringherà Conte, invocando la sua coerenza - solo per colpa del governo Draghi.
Ma andiamo con ordine. Perché sono due le circostanze che rendono pericoloso il gioco che sta facendo il M5s sul decreto Aiuti bis. La prima è la tempistica, visto che il provvedimento all'esame del Senato deve essere approvato dal Parlamento entro l'11 ottobre (60 giorni da quando, il 12 agosto scorso, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale). Però il 25 settembre si vota e il 15 ottobre si terrà la prima seduta delle nuove Camere. La seconda è la situazione politica contingente, con un governo e un Parlamento a fine corsa e con deputati e senatori impegnati nella campagna elettorale.
Insomma, senza un accordo politico il decreto Aiuti bis potrebbe davvero saltare. Perché non ci sono né i presupposti per porre la questione di fiducia, né le condizioni per giorni di battaglia parlamentare a colpi di ostruzionismo. Non a caso, sul tema degli insegnanti esperti della scuola - su cui ci sono perplessità trasversali agli schieramenti e una posizione di rigidità del governo perché la materia è legata al Pnrr - alla fine si era trovata una formulazione possibile. Il problema è che il M5s si è rifiutato di ritirare i suoi emendamenti, facendo le barricate in particolare sul superbonus. Tutto legittimo, ci mancherebbe. Se non fosse che ipotizzare di far approdare in Aula il provvedimento con 400 emendamenti significa, nei fatti, avviarlo alla decadenza. Il tema, ovviamente, è stato snocciolato ieri in diverse riunioni e pure nella conferenza dei capigruppo del Senato. Senza una soluzione e rinviando tutto a martedì 13 settembre. Il punto, però, è che per quella data serve una soluzione politica, perché è evidente che nessun senatore si presenterà a Roma per un passaggio a vuoto, essendo tutti - anche quelli del M5s - impegnati in giro per l'Italia a fare campagna elettorale. E, dunque, o Conte scende a più miti consigli, oppure il governo accetta di rivedere le norme sul superbonus come chiede il Movimento. E, questo dice il buon senso, difficilmente Mario Draghi si siederà al tavolo con chi ha fatto cadere il suo governo.
In parallelo, poi, si sta giocando la partita del cosiddetto decreto Aiuti ter, il provvedimento contro il caro bollette su cui stanno lavorando in questi giorni gli uffici del Mef e della presidenza del Consiglio. Alla fine le risorse a disposizione dovrebbero attestarsi sui 12-13 miliardi, quasi quanto quelle previste dal decreto impantanato al Senato. Oggi alle 15 si terrà un Consiglio dei ministri lampo in cui il titolare dell'Economia, Daniele Franco, farà una relazione sull'extra-gettito tributario e spiegherà da dove saranno reperiti i fondi e poi la palla passerà al Parlamento per il via libera. A quel punto - a Palazzo Chigi immaginano la prossima settimana - il governo varerà il decreto.
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