Sono partite in casa palestinese le manovre politiche per la nascita di un governo tecnico che punta a gestire il dopo-guerra nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, con l'obiettivo della nascita di un futuro Stato palestinese. Mentre in Qatar si continua a trattare per il rilascio dei 134 ostaggi israeliani e per una tregua, ma alti funzionari israeliani si dicono pessimisti sulla trattativa, l'esecutivo palestinese guidato dal 2019 da Mohammad Shtayyeh ha presentato le dimissioni al presidente dell'Autorità palestinese (Anp), Abu Mazen, detto anche Mahmoud Abbas. La decisione è stata presa «alla luce degli sviluppi legati all'aggressione contro Gaza», ha precisato Shtayyeh. A chiedere l'uscita di scena del primo ministro sarebbe stato Abu Mazen, dopo le pressioni statunitensi e arabe per un ricambio in vista del futuro post-bellico e nella speranza che si arrivi a una soluzione a due Stati, nonostante la prospettiva sia osteggiata finora da Governo e Parlamento israeliani. «La prossima fase e le sue sfide richiedono nuove misure governative e politiche che tengano conto della nuova realtà nella Striscia di Gaza», ha spiegato il premier dimissionario invocando «il consenso inter-palestinese e l'estensione del controllo dell'Autorità sull'intero territorio della Palestina». Secondo il canale tv saudita Asharq News, già entro fine settimana si assisterà alla nascita di un nuovo governo palestinese, con l'incognita dell'appoggio di Hamas. Quanto alla prospettiva della coesistenza di due Stati, il premier israeliano Benjamin Nentanyahu ha spiegato che il popolo israeliano «è unito, come mai prima, nel dire che non accetteremo uno Stato palestinese che metta in pericolo Israele».
Come la situazione evolverà dipenderà molto anche dalle trattative in corso per gli ostaggi, sulle quali, secondo fonti israeliani «ci sono ancora divari molto grandi». Tra i nodi da sciogliere ci sono la quantità di aiuti a Gaza e poi il numero e il «peso» dei detenuti palestinesi da liberare. Netanyahu avrebbe chiesto che i prigionieri con condanne pesanti siano inviati immediatamente in Qatar al momento del loro rilascio, riferisce la tv israeliana Channel 12. Di questo e di altro, compresa la durata della prima fase di tregua, hanno parlato ieri proprio in Qatar la delegazione israeliana da una parte e il leader politico di Hamas dall'altra. Ismail Haniyeh, mente politica degli islamisti di Gaza, che da anni vive in esilio a Doha, ha incontrato l'emiro del Qatar, Tamim Al Thani. La speranza è che nella prossima tappa dei colloqui al Cairo si possa arrivare alla firma dell'accordo, di cui esiste una bozza formulata a Parigi con la mediazione di Egitto e Stati Uniti.
La guerra a Gaza intanto continua, con tutti i timori sulla dura offensiva a Rafah, i cui piani sono stati sottoposti dall'esercito al Gabinetto di guerra, convocato per domenica, e confermati da Netanyahu, inclusa l'evacuazione che la precederà. Per il segretario dell'Onu Antonio Guterres sarebbe «l'ultimo chiodo sulla bara dei programmi di aiuto». Per Abu Mazen una «follia da fermare», perché «l'obiettivo è riportare l'occupazione israeliana» a Gaza. Un altro piano israeliano prevede assistenza umanitaria alla Striscia «per prevenire i saccheggi avvenuti nel nord».
Preoccupa sempre più anche il rischio di estensione del conflitto nel nord di Israele, al confine con il Libano.
Hezbollah ha lanciato 60 missili Katyusha contro un centro militare israeliano, in risposta all'attacco dell'Idf sulla regione di Baalbek, in cui due membri del gruppo sono stati uccisi. Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha già promesso più attacchi contro i miliziani libanesi, anche in caso di tregua a Rafah.
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