La gente, che correva ad adorarli sotto le finestre del Palazzo di giustizia piacentiniano, gridava «Di Pietro- Davigo-Colombo andate fino in fondo». Missione compiuta: in fondo a sinistra. Fatta a pezzi la Prima repubblica, gli alfieri del Pool hanno preso il posto di quelli che prima ammanettavano. Un'attrazione fatale o, più banalmente, una seconda vita dopo aver esaurito l'adrenalina disponibile per l'esistenza in toga. Chissà. Autorevoli commentatori hanno scritto che questo salto dall'altra parte della barricata autorizza inquietanti letture retrospettive di quell'epopea che, in tre anni, dal 92 al 94, cambiò la storia d'Italia. E lanciò in orbita i post comunisti.
Percorsi differenziati, una prospettiva comune, quasi una tendenza irresistibile: l'ultimo ad essere tentato è Gherardo Colombo che peraltro ha già lasciato la magistratura da un pezzo, ha visitato, con le sue lezioni sulla legalità, più scuole di Matteo Renzi, è stato presidente della Garzanti e consigliere d'amministrazione della Rai. Ora potrebbe scendere in campo come bandiera della sinistra-sinistra per il Comune di Milano. Si vedrà.E però il destino sembra compiersi. Cominciò il più scalpitante del gruppo, Antonio Di Pietro: neanche il tempo di togliersi la toga, ammaccata dalle inchieste di Brescia, e via di corsa verso il Parlamento. Fu la destra a corteggiarlo, ma fu poi la sinistra, più strutturata e seducente, a reclutarlo paracadutandolo nel collegio sicuro del Mugello, rosso che più rosso non si può.
Il Tonino nazionale, che era arrivato con le sue inchieste fin sulla porta di Botteghe oscure, si ritrovò senatore nel partito di D'Alema e Occhetto che aveva provato, invano, a scandagliare. Cortocircuiti di quell'intreccio perverso fra politica e giustizia. Ministro del governo Prodi, senatore, deputato, ancora ministro, fondatore dell'Italia dei valori. Il curriculum del Di Pietro numero due è chilometrico e pare una smentita su tutta la linea alla predicazione purissima di Piercamillo Davigo, il più intransigente fra gli Intoccabili di Mani pulite, che ripeteva davanti alle continue offerte di poltrone e laticlavi: «Un arbitro non può entrare in campo e giocare la partita».Invece, dopo Di Pietro anche Gerardo D'Ambrosio, il coordinatore del Pool, non seppe resistere alle sirene del Palazzo. E fu eletto senatore, sempre nel Pd. Certo, D'Ambrosio era già in pensione e la brillante carriera da Pm si era conclusa per via anagrafica. Ma anche in questo caso non si può non avvertire un retrogusto di disagio. Lo stesso che scatterebbe se Colombo dovesse buttarsi nella mischia.
Una scelta scansata solo da Davigo, ancora oggi in prima linea ma dentro la magistratura, e da Francesco Saverio Borrelli, troppo innamorato della propria posizione per cedere alle lenticchie di una poltrona in Parlamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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