L'elezione del presidente della Repubblica è la fiera dell'ipocrisia. Nasce così e con il tempo peggiora. La partita per il Quirinale si sviluppa su campi minati, trabocchetti, dissimulazioni, tatticismi, tradimenti, inganni, silenzi e segreti. La lealtà è un difetto, la furbizia un pregio. È la sublimazione dell'arte di sopravvivere a Palazzo. È la politica nella sua veste più machiavellica. Chi arriva sul Colle non è il migliore, il più saggio, il più autorevole e neppure il più forte. È il più abile a nascondersi, a non farsi impallinare, ma soprattutto a mascherarsi da irrilevante.
Non bisogna stupirsi o scandalizzarsi, in fondo la figura del presidente è una finzione. Tutti fanno finta di credere a quello che non è. In teoria è il personaggio che dovrebbe rappresentare tutti gli italiani. L'uomo simbolo, la bandiera, l'arbitro, quello che resta al di sopra delle parti. Allora, con sincerità, c'è qualcuno che se la sente di giurare che Napolitano, Scalfaro e Ciampi siano stati neutrali? Il Quirinale è un primattore della politica. Gioca, invade, partecipa, parteggia e fa partito, indirizza l'azione su binari ben precisi e definisce i destini di governi e maggioranze. Intriga e congiura contro questo o quell'altro. Si pensi solo al ruolo di Re Giorgio nella caduta di Berlusconi, la scelta extraparlamentare di Monti o la sospensione della democrazia con il rifiuto quasi metafisico di andare alle elezioni. È la grande ambiguità di un'Italia che sulla Carta costituzionale si presenta come una repubblica parlamentare mentre da anni è di fatto un presidenzialismo mascherato.
Il risultato è un ircocervo istituzionale, un animale mitologico della democrazia occidentale. Tutto questo solo per la paura di cambiare la Costituzione, ma sfilacciando la stessa Carta fino a confini innaturali. Si fa, ma non si dice.
Così si finge di vivere in un mondo mentre si sta da un'altra parte. Non sarebbe più onesto fare come in America o almeno come in Francia?
Neppure il rottamatore Renzi ha il coraggio di fare chiarezza. Gli italiani si rassegnino, le riforme di Matteo non prevedono né il presidenzialismo né il mezzo presidenzialismo parigino. Anche lui preferisce la pantomima di un Colle super partes a parole e partigiano nei fatti.
La verità è che il presidenzialismo vero fa paura. Il potere, soprattutto se a sinistra, non si fida degli italiani. Non li ritiene abbastanza maturi da poter scegliere direttamente chi debba governarli. Meglio avere sul Colle un arbitro venduto che se può interpreta a suo modo le leggi fondamentali del Paese. È appunto una finzione rassicurante. È una furba bugia. La sovranità appartiene al popolo, ma la gestisce la casta, perché gli elettori non si sa mai dove vanno davvero a parare. È la sintesi della democrazia all'italiana, funziona ed è legittima solo se a vincere è la sinistra e al Colle sale un suo uomo.
La cosa buffa è che continuiamo a fare sondaggi su chi vorrebbero gli italiani al Quirinale. Ed è una vera presa per i fondelli. Non tocca a noi votare. Non abbiamo voce in capitolo. Non possiamo neppure tifare. Non c'è scelta. Per forza poi il nome esce dai retrobottega del Palazzo, con gli accordi sottobanco e i colpi di stiletto di riunioni carbonare. Se non c'è il popolo, se non c'è il suffragio universale, la scelta tocca alle segreterie di partito con l'effetto sorpresa lasciato tutto alla buona volontà dei franchi tiratori. È uno scontro di potere tra leader e peones senza volto.
È qualcosa di balordo già nell'impostazione di partenza. Prima però c'è tutta l'enfasi parolaia di scegliere un profilo autorevole, una figura condivisa, un uomo (o una donna) che faccia della concordia il suo motto e venga applaudito a reti unificate la notte di San Silvestro.
L'unica variante renziana, sussurrata questa volta, è che assolutamente non faccia ombra al giovane premier, ma si sia già sottomesso a lui. E così dopo il super partes e il partigiano, ci beccheremo anche il presidente sotto schiaffo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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