L'errore di immaginare una vita senza il virus

Pensare di riaprire per finta, con regole che di fatto sono chiusure rimandate o rifiuto di aprire da parte degli esercenti

L'errore di immaginare una vita senza il virus

Pensare di riaprire per finta, con regole che di fatto sono chiusure rimandate o rifiuto di aprire da parte degli esercenti. Pensare di riaprire quando i contagi siano ridotti al lumicino. Pensare di riaprire aspettandosi che i contagi non risalgano. Tutti segnali chiari che chi guida questo circo non ha mai e ancora capito quale fosse l'unica filosofia possibile. Non di tornare alla vita «senza» il virus, ma di tornare alla vita «con» il virus. Il lockdown non doveva essere l'attesa che il virus scomparisse, infatti è ancora lì. Questa è stata la balla originaria a cui i politici, non sapendo che pesci pigliare, si sono ispirati e che hanno raccontato agli italiani. No, chiedere alla popolazione di ritirarsi dalla scena, pagando un prezzo, doveva servire due finalità. La prima, di appiattire la curva dei contagi e dare respiro alle strutture, salvando vite umane. Decisioni scellerate e protocolli inefficaci non sono riusciti nemmeno in questo, purtroppo. La seconda, di preparare la riapertura, il ritorno degli italiani alla vita, una vita possibile e reale, in un contesto meno cruento e più gestibile, in presenza e non in assenza del virus. Dovevano agire su tre fronti.

Uno, il più importante. Educare le persone a circolare liberamente, senza imporre code e distanze improponibili per loro e per gli esercizi che li accolgono. Certo, ciascuno tenendosi a distanza ogni volta che sia possibile. Indossando la mascherina non in macchina bensì in luoghi pubblici e senza toglierla proprio mentre si parla, che è più comodo. Lavandosi le mani ossessivamente. Tali prudenze dovrebbero ridurre il rischio del contagio almeno del 30/50%, ossia dimezzare la fonte del problema. Invece, la narrazione è stata: per uscire, aspetta che il virus scompaia e comunque non interagire con gli altri. Vai al bar, ma senza entrare. Vai in spiaggia, mettendo l'ombrellone in Tunisia, perché prima non c'è posto. Riserva una saletta in pizzeria, solo per te. Roba da TV dei ragazzi, ma neanche. Sembra in lockdown pure il cervello delle associazioni dei commercianti, che chiedono al Governo liquidità invece di denunciare l'impossibilità delle regole. Mentre i loro associati, che vogliono solo l'opportunità di fare commercio, scendono in piazza e dichiarano che non apriranno. Inutile dare soldi alla gente se non glieli fai spendere.

Due. Dotare il Paese di tamponi e mascherine in quantità a marzo, anziché di polemiche e scaricabarile tra inetti commissari per caso, a maggio. Imporre attraverso i gestori telefonici un sistema di tracciamento, senza stare a cincischiare su una privacy di cui nessuno si cura quando deve scaricare l'ennesima app per il cibo del gatto. Così si intercetterebbero i contagiati a uno stadio iniziale, evitando loro le complicazioni e contenendo l'esposizione agli altri. Non abbiamo nulla di ciò.

Tre. Attrezzare almeno un ospedale Covid per regione e adeguare i protocolli di intervento sanitario, possibilmente proteggendo, non uccidendo, i medici. Questa misura sarebbe essenziale per coloro che comunque contrarranno il virus. Perché ci saranno, è ovvio che ci saranno, ma devono essere assistiti per tempo e per bene.

A gennaio, uno che guida un Paese e vede la Cina in

lockdown, si chiude una giornata con alcuni cervelli e ne esce la sera con qualcosa di simile. Poi agisce. Com'era la storiella? Un contadino deve traghettare all'altra sponda una pecora, un lupo e un cavolo, uno per volta...

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