«Abbiamo scarcerato un boia», tuona di buon mattino dai quotidiani l'avvocato calabrese Luigi Li Gotti, storico difensore di pentiti di mafia che hanno aiutato a riscrivere la storia recente della criminalità organizzata siciliana. La sua tesi, diventata già indagine grazie alla decisione del Procuratore capo di Roma di avallarne i contenuti, è che il governo sia il vero responsabile del mancato arresto del criminale di guerra libico Njeem Osama Almasri, liberato a Torino con un'ordinanza emessa dalla Corte d'Appello di Roma, dopo che era stato arrestato su mandato della Corte penale internazionale nell'aeroporto piemontese, per un vizio procedurale dovuto - secondo la Procura generale capitolina - alla mancanza dell'avviso tempestivo dell'avvenuto arresto al Guardasigilli, Carlo Nordio.
L'indignazione dell'ex sottosegretario alla Giustizia dei governi di centrosinistra però stride - e molto - con alcuni dei suoi principali successi professionali. Anche lui, in passato, ha fatto scarcerare un boia: l'ex boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca, che oggi è un uomo libero come Almasri. Come sappiamo, il sicario che ha premuto il pulsante del telecomando nell'attentato in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, è anche colui che ha ordinato l'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Mario Santo, strangolato e poi sciolto nell'acido. Anche allora l'indignazione fu altissima e il legale non se ne preoccupò.
Una ventina di anni fa Brusca venne arrestato e riportato a Rebibbia mentre era in permesso premio in un albergo romano con la moglie, il figlio e un telefonino, Li Gotti anzi fece spallucce: «In un anno e mezzo ne ha già avuti nove. Il telefonino? Forse parlava con me, è stata una leggerezza...». Ora, nessuno discute l'importanza del diritto alla difesa anche di un mostro come Brusca, né il Giornale ha mai messo in discussione il suo pentimento, quantomeno quello interiore, spirituale, raccolto di recente dal cappellano don Marcello Cozzi nel libro delle Edizioni San Paolo Uno così Giovanni Brusca si racconta.
Il rimprovero a Li Gotti è che nella sua intemerata contro la liberazione di Almasri si è dimenticato di due convitati di pietra: il Pg e i giudici della Corte d'Appello della Capitale. A meno che Li Gotti non abbia già presentato un esposto similare a Perugia, competente sul tribunale romano, ci permettiamo di sottoporre a lui il parere di un ex giudice della Corte penale Internazionale, Cuno Tarfusser, secondo cui «l'ordinanza della Corte d'Appello di Roma che ha portato alla scarcerazione di Almasri è errata, non so se per ignoranza o non in buona fede: dovevano convalidare l'arresto e tenere il soggetto in carcere, poi il governo doveva assumersi la responsabilità - che poi si chiama ragion di Stato - di fare quello che riteneva opportuno». Sarebbe stato così grave l'errore dei magistrati romani? «Noi cerchiamo di applicare la legge sibila l'ex vice Pg di Milano - quando incominciamo a interpretarla, come ha fatto la Corte d'Appello, prendiamo anche dei granchi».
Qualcuno maligna che il vero avvocato del pentito è il pm che l'ha convinto a parlare, ma queste sono le cattiverie dei colleghi per le parcelle monstre destinate a chi difende i pentiti e pagate da noi. Parcelle meritatissime, liberare un boia non è mica facile.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.