L'ideologia di sinistra che blocca il Paese

C'è chi farà spallucce, chi ignorerà la vicenda, chi la liquiderà con la formula che a Mosca non bisogna credere.

L'ideologia di sinistra che blocca il Paese

C'è chi farà spallucce, chi ignorerà la vicenda, chi la liquiderà con la formula che a Mosca non bisogna credere. Magari sarà pure così, ma se le rivelazioni di Kirill Dmitriev, il Ceo del fondo sovrano russo che produce Sputnik, risulteranno fondate, la nostra classe politica , che si ubriaca da decenni di pseudo-ideologie alla buona, che rifugge il pragmatismo e trasforma ogni confronto in uno scontro ideologico, avrà avuto un'altra lezione su come si governa un Paese: la Germania, che storce il naso sul vaccino di AstraZeneca, sarebbe infatti in trattative avanzate per acquistare 20 milioni di quello russo. Che sia tutto vero è molto probabile: nella conferenza stampa di giovedì scorso il premier Mario Draghi, infatti ha già messo le mani avanti, dichiarando che Berlino non avrebbe problemi a farlo perché Sputnik non è stato oggetto di contratti collettivi con l'Unione europea. Il problema, però, non è questo. Né tanto meno che il nostro governo debba assolutamente comprarlo, anche se vista la carenza di vaccini (ieri non avendo più dosi le Asl di Avellino e provincia hanno fermato le inoculazioni per qualche ora), viste le polemiche sugli effetti collaterali di AstraZeneca e dato che gli effetti di un vaccino non durano una vita per cui andrà ripetuto di anno in anno, si può scommettere che alla fine anche noi inseriremo Sputnik nel nostro magazzino anti-virus. Buon ultimi.

La questione e la lezione semmai riguarda il «come e il perché» la nostra classe dirigente abbia escluso l'ipotesi di Sputnik, o, comunque, l'abbia congelata, malgrado il Covid-19 mieta ancora più di cinquecento vittime al giorno nel Belpaese. Come tutti ricorderanno un mese fa Matteo Salvini, seguito a ruota dal governatore dell'Emilia Stefano Bonaccini, da Silvio Berlusconi e da Giorgia Meloni e a mezza bocca pure da Matteo Renzi, sulla scia della decisione della repubblica di San Marino di aprire la porta allo Sputnik, avevano proposto di fare la stessa cosa da noi sposando una filosofia semplice quanto fondata: l'unico strumento per mettere in sicurezza il Paese sul piano sanitario ed evitare le chiusure è il vaccino, per cui bisogna tentare tutte le strade per aumentare le dosi che ci fornisce la Ue, compresa quella di Mosca.

Nell'occasione, quindi, stranamente, un pezzo del nostro mondo politico, bipartisan anche sul piano degli schieramenti, si era mosso prima dei tedeschi. E, per la verità, Draghi all'inizio aveva pure detto un mezzo sì. Poi, però, come succede sempre da noi, in quel mondo di sinistra datato non a ieri ma all'altro ieri, in contrapposizione a Salvini, erano fioccati veti e «altolà» di tutti i tipi, accompagnati anche da endorsement sfegatati: mezzo Pd, capeggiato dal nuovo segretario, Enrico Letta, si era schierato per il No, come pure il ministro della Sanità Speranza; mentre il governatore della Campania De Luca, altro Pd, si era detto disposto a comprare Sputnik pure da solo per la sua Regione, accompagnato dall'assessore alla Sanità del Lazio, D'Amato, (ancora Pd) della stessa opinione. Insomma, era destino che anche il vaccino Sputnik finisse nel calderone dell'ideologia o della geopolitica, allungando l'elenco degli scontri di schieramento che caratterizzano da un anno la gestione della pandemia su tutti temi: dalle «aperture», alla scuola, sulle cartelle esattoriali, financo sui banchi a rotelle. Prese di posizione faziose, trasformate in pseudo ideologie, magari determinate dall'avversione verso questo o quel proponente specie se risponde al nome di Salvini. Tutto, insomma, fuorché quel sano pragmatismo che dovrebbe ispirare una classe politica alle prese con una tragedia. Sullo Sputnik il substrato ideologico era che l'Italia deve affidarsi all'Europa e non muoversi autonomamente (appunto, l'europeismo trasformato in ideologia). E alla fine Draghi per quieto vivere, per mantenersi in equilibrio nella sua vasta maggioranza, ha aderito a questa tesi: ha preferito non mettere in piedi nessuna iniziativa italiana per verificare la bontà di Sputnik, si è coperto con le istituzioni europee (Ema) e ha messo in frigorifero il vaccino russo.

La cancelliera Merkel, invece, se è vero quello che raccontano a Mosca, anche in questa occasione ha fatto il contrario, fedele al motto con cui la Germania si muove a Bruxelles: aiutati che l'Europa ti aiuta. E bypassando le incrostazioni dannose che bloccano la burocrazia europea, a quanto pare, ha preso un'iniziativa autonoma, andando a vedere se nel vaccino russo qualcosa di buono c'è: come Boris Johnson si è inventato da solo l'opzione di inoculare una dose a tutti i cittadini, senza aspettare la seconda, salvando l'Inghilterra, la Merkel, magari anche lei spinta dalla disperazione, non ha puntato tutto su quello che succede nei laboratori dell'Ovest, ma ha messo qualche fiches anche su ciò che producono ad Est. Insomma, ha deciso partendo dal presupposto che non fa certo male battere tutte le strade. E ci ha impartito l'ennesima lezione.

Per la verità, le cose buone combinate da Draghi nella gestione di questa pandemia, sono partite dalla stessa filosofia: quando se ne è infischiato delle Big Pharma e senza attendere l'Europa, ha bloccato i vaccini che stavano esportando dall'Italia; oppure, come tre giorni fa, quando se ne è infischiato delle Regioni e ha dettato i criteri delle vaccinazioni, imponendo la precedenza agli anziani senza nessun tipo di deroga. Ebbene, il premier si renda conto che è lì per decidere, assumendosi in prima persona il peso delle sue scelte, non per barcamenarsi nella sua agenda, magari accompagnando un incontro con Salvini con un colloquio con Bersani.

La differenza che deve marcare con il suo predecessore è che lui governa, mentre l'altro rinviava per non dispiacere vuoi a Zingaretti, vuoi a Di Maio, vuoi a Renzi, vuoi ad Arcuri o per paura di assumersi delle responsabilità: Draghi sia consapevole che è Draghi, non un Conte qualunque, ed è il motivo per cui è là. Perché il virus corre e non aspetta.

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