Avere sempre più diritti è un bene? Se i diritti sono anch'essi dei beni quando aumentano non si inflazionano? Le energie che spendiamo per trovare nuovi diritti non potremo utilizzarle per far rispettare quelli che già abbiamo e che restano spesso inattuati?
La domanda riguarda la struttura della nostra società. Amare la nostra società liberale significa essere attenti e critici e segnalarne i problemi. E la colpa non è solo delle élite. Anzi, queste hanno applicato la più spietata e forse disperata forma di libero arbitrio: lasciare che a decidere sia il popolo. La parola al televoto.
La massa fa fatica a esprimere desideri complessi: ha aspettative alte ma anche gusti semplici. E quando desidera qualcosa lo fa in modo brutale. Ma la sua volontà è qualcosa di semplice che si presta a manipolazioni. Tra queste pieghe si annidano nuovi pionieri che acquisiscono il consenso del popolo cercando nuovi diritti come fossero oro.
Il nostro mondo ha sempre più diritti, sempre meno principi e ancor meno doveri.
Se possediamo principi che ci impediscono di nuocere agli altri, non violeremo neppure le norme che puniscono il furto, la truffa e l'omicidio. Se i principi non li abbiamo, possiamo rovinare gli altri, pur rispettando tutte le norme del mondo.
I diritti poi hanno un problema di fondo: devono essere attuati da un sistema giudiziario efficiente che non sempre abbiamo: avere un diritto non implica che avremo giustizia. E i diritti diventano insostenibili quando sono così tanti e dispersivi che non riusciamo più ad attuarli, così perdono tutti di valore. Anche perché, mentre le risorse sono sempre limitate, la creatività di ricercare nuovi diritti, potenzialmente non ha limiti. Senza contare che l'ipertrofia dei diritti, se ha permesso di vivere meglio almeno a una parte del mondo, ha atrofizzato quelle capacità che servono per cavarsela nelle difficoltà.
Le tribù nomadi del deserto si accampano a quindici chilometri dalle oasi per insegnare ai figli il valore dell'acqua e l'importanza di risparmiarla. Percorrere lunghe distanze per raggiungere l'acqua li aiuta a comprendere la fatica e l'impegno necessari per procurarsi questa risorsa vitale. Ma allo stesso tempo li allena a percorrere distanze considerevoli in condizioni climatiche difficili e li prepara per le sfide della vita nomade. Per qualcuno vale più un pugno di forza che un sacco di diritti e in un qualche modo è vero perché è inutile avere qualcosa se non si ha la forza per difenderlo. E la forza si allena alla palestra dei doveri. In questi anni sono cambiati i modelli sociali, i rapporti umani e la stessa coscienza del proprio genere. In un contesto consumistico come il nostro, anche il genere è diventato oggetto di consumo.
Questa civiltà ha quasi del tutto esorcizzato Dio e sta veramente plasmando quell'uomo nuovo, riuscendo dove avevano fallito i totalitarismi. Si pensi al tentativo dei comunisti di creare l'homo novus sovieticus. L'uomo nuovo di oggi è un debole, è un consumatore che ha smesso di essere critico, ha perso il dono della vergogna e non vede i mali di una società defunta.
«Assisto, per privilegio d'anagrafe, dall'orlo estremo di qualche età sepolta», scriveva Pasolini riferendosi a quel mondo del passato che abbiamo lasciato una volta entrati in quello che chiamava il Dopostoria. E viene da chiedersi se quello in cui crediamo ancora sia chiaro e definito e agevoli una coesione sociale o sia evanescente e divisivo.
L'Occidente di oggi, assediato da dentro dalla crisi dei valori e circondato fuori da trappole, guerre e sfide impegnative, ricorda l'assedio di Costantinopoli, durante il quale i bizantini si interrogavano sul sesso degli angeli.
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