L'Italia chic contro l'Italia rozza. Uno schema nefasto da chiudere

C'era una volta la superiorità antropologica della sinistra che si articolava in tutti i modi possibili e immaginabili

L'Italia chic contro l'Italia rozza. Uno schema nefasto da chiudere
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C'era una volta la superiorità antropologica della sinistra che si articolava in tutti i modi possibili e immaginabili (qualche volta perfino inimmaginabili). C'era una volta e non c'è più, se non nel mondo parallelo dei social network tipo Twitter o X che dir si voglia, la versione aggiornata delle ormai tramontate risse in televisione. Nella realtà, abbiamo capito da un pezzo che la destra non è brutta, sporca e cattiva, tanto meno ignorante. Non c'è dunque motivo di sentirsi inferiori davanti ai maestrini e alle loro penose battute o ai loro ancor più penosi e fintamente pensosi editoriali.

È ormai ridicolo tagliare la cittadinanza in due con l'accetta: di qua i buoni, di là i reietti. Non c'è più nessuno da ricacciare nelle fogne e la intolleranza si è rivelata un solido patrimonio della sinistra più di quanto non sia mai stato della destra. Già, è questa la novità, tutto sommato. La censura e i veti sono il risultato di una ideologia sbagliata e fallita: il politicamente corretto, che ha la caratteristica di selezionare un problema anche reale e di aggravarlo introducendo eccezioni, cioè ulteriori discriminazioni.

Ieri Ignazio La Russa, presidente del Senato, ha declinato l'invito a presiedere l'Assemblea nazionale di Fratelli d'Italia. Lo ha fatto per evitare discussioni alimentate dai maestrini di cui si diceva poco fa. Il gesto è apprezzabile (giusto, per dirla tutta) ma non dovuto. In passato, ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, «ci sono stati presidenti di Camera e Senato che facevano le conferenze stampa per presentare i simboli dei partiti con i quali si candidavano e nessuno ha detto nulla». Meloni rivendica «pari diritti» per il suo partito: è finita la stagione interminabile in cui una parte del Paese aveva facoltà di emettere scomuniche e di essere ipocrita.

Già nel 1994, dopo la clamorosa sconfitta della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, si faceva strada la teoria delle due Italie (per altro un semplice aggiornamento dell'antifascismo militante). Una virtuosa, minoritaria e di sinistra. L'altra avida, corrotta, meschina, maggioritaria e di destra. Una colta, amante della lettura. L'altra ignorante, schiava delle televisioni. Una per la giustizia sociale, l'uguaglianza e pazienza se il partito più grosso di questa sinistra era erede del Partito comunista schierato con gli assassini di Mosca. Un'altra intimamente fascista, così, per Dna.

E tutta quanta: non solo i post fascisti, che almeno un legame ce l'avevano, ma pure i cattolici, i liberali, i conservatori, tutti messi in camicia nera. Questo schema ha avuto un nefasto influsso sulla vita del Paese, dividendolo senza motivo che non fosse elettorale e alimentando un grottesco conformismo in campo culturale. È ora di mettere un punto. E a capo.

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