L'Italia obbligata ad arrestare Bibi. Ma l'immunità è una scappatoia

Cosa accadrà dopo il mandato della Cpi. Chi decide, il ruolo dell'Ue, i precedenti

L'Italia obbligata ad arrestare Bibi. Ma l'immunità è una scappatoia
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La Corte penale internazionale ha emesso dei mandati di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant, ex ministro della Difesa, e Mohammed Deif, comandante militare di Hamas, che forse è stato eliminato dai bombardamenti a Gaza. Le accuse per gli israeliani sono di crimini di guerra per «l'uso della fame come arma», «ostacolo all'assistenza umanitaria» e «attacchi intenzionali contro i civili». Il Giornale risponde su cosa accadrà adesso.

1. L'Italia è obbligata ad arrestare Netanyahu o Gallant se arrivassero nel nostro paese?

Il nostro paese fa parte delle 124 nazioni che riconoscono la Corte penale internazionale. L'arresto è obbligatorio, ma in realtà, soprattutto per il premier Netanyahu, il governo può invocare «l'immunità del capo del governo in carica». Una norma del diritto internazionale che prevede di non eseguire arresti o coercizioni per capi di Stato, di governo e ministri degli Esteri. Per Gallant, che era ministro della Difesa e ora non ricopre più la carica, la decisione è più ardua.

2. Cosa accadrebbe se il premier israeliano mettesse piede in Italia?

Il magistrato italiano Cuno Tarfusser, che ha fatto parte della Cpi, spiega: «La Corte, attraverso le vie diplomatiche e l'Interpol, notificherebbe a Roma il mandato di cattura. Netanyahu deve venire arrestato e poi sarà la Corte d'appello competente a decidere sull'estradizione, magari mettendolo subito in libertà con degli obblighi di non espatrio. Una volta presa la decisione il ministro della Giustizia può opporsi alla consegna a L'Aja».

3. Chi prenderà la decisione politica?

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha chiarito che la decisione, di carattere politico, verrà presa dal presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in accordo con la Farnesina. Il governo vuole leggere con attenzione le carte dell'accusa, temendo un uso politico della giustizia internazionale, e punta ad adottare una posizione comune con i partner internazionali. Tajani solleverà la questione lunedì e martedì alla riunione dei ministri degli Esteri del G7 a Fiuggi.

4. Cosa farà l'Europa?

I paesi dell'Unione europea stanno andando in ordine sparso. Il premier Viktor Orbán, che con l'Ungheria ricopre la presidenza semestrale, ha addirittura invitato Netanyahu a Budapest, nonostante il paese abbia aderito alla Cpi. Germania e Francia sono attendisti a differenza della Spagna, che ha riconosciuto la Palestina ed i Paesi Bassi, dove ha sede la Corte, pronti ad eseguire il mandato d'arresto. Su questa linea anche il premier inglese Keir Starmer. Il commissario uscente dell'Unione europea, Josep Borrell, ha sottolineato: «Gli Stati che hanno firmato la Convenzione di Roma, sono obbligati a rispettare la decisione della corte. Non è facoltativo».

5. Qual è la posizione delle superpotenze?

Stati Uniti, Russia e Cina non riconoscono la Corte, come Israele. Il presidente in carica Joe Biden ha ribadito che «saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza». Il presidente eletto, Donald Trump, sta valutando di applicare, una volta insediato alla Casa Bianca, sanzioni al procuratore capo della Cpi, Karim Khan e al presidente Nawaf Salam, entrambi musulmani e considerati di parte. Trump lo aveva già fatto durante il primo mandato. Il Cremlino ha bollato come «insignificanti» e prive di valore legale le decisioni della Corte, che ha emesso un mandato di cattura per crimini di guerra in Ucraina nei confronti di Vladimir Putin. Il governo cinese ha chiesto alla Cpi di mantenere «una posizione oggettiva e imparziale».

6. Ci sono precedenti di mancati arresti?

Il presidente russo Putin è stato accolto con il

tappeto rosso in Mongolia dopo il mandato d'arresto della Cpi. In passato il leader sudanese Al Bashir incriminato per i massacri nel Darfur non era stato arrestato in Sudafrica, che aderisce alla Corte come la Mongolia.

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