Infiltrarsi orizzontalmente, e fino in fondo. Sottrarre documenti: come fatto in Siria, in quelle città via vai di svariati quadri di Hezbollah. Intercettare le comunicazioni verbali. E infine attaccare, a colpo sicuro, dritto sui bunker nei palazzi della capitale libanese Beirut; pur con tragici danni causati dalla prossimità delle «tane» del Partito di Dio ad aree civili. Sono questi gli ingredienti principali dell'operazione israeliana «Nuovo Ordine», nata mesi fa dalla volontà di Netanyahu e del Mossad di ottenere risultati tangibili in Libano: puntando, soprattutto, a ripristinare la sicurezza nei villaggi del nord di Israele una volta per tutte; dove migliaia di ebrei, in larga parte sfollati, erano quotidianamente minacciati dai missili degli Hezbollah.
Azione, dunque. Di immediato impatto: basti pensare al comunicato letto dalla tv al-Manar dopo il raid dei caccia F-15 operato dal 69° Squadrone Hammers alla periferia sud di Beirut. Circa 80 bombe «speciali». È stato, venerdì, l'annichilimento totale della piramide di Hezbollah. Graduale. Dal basso verso l'alto. Annunciato e infine compiuto. In nome, ha spiegato il portavoce delle forze armate israeliane Hagari, di un mondo diventato ora «più sicuro».
Finora, però, i raid in Libano hanno portato «solo» a decapitare i vertici del Partito di Dio. E, da ultimo, all'uccisione del segretario Nasrallah confermata dalla stessa organizzazione sciita alleata degli ayatollah iraniani, a loro volta già colpiti nel vivo, nel loro territorio, con l'ordigno piazzato da pasdaran corrotti sotto il letto del leader di Hamas, Haniyeh, saltato in aria il 31 luglio grazie a un comando a distanza. Né l'Iran né i miliziani libanesi hanno individuato gli esplosivi. Successo dell'unità militare 8.200, élite della cyber guerra. Ma soprattutto di quella human intelligence, fatta di persone fisiche, su cui larga parte dell'azione israeliana si è sviluppata. E tuttora è in corso.
Prima delle armi, si è lavorato con tecnologia, uomini, donne e tradimenti. Opzione possibile, questa, in un Libano che è diverso dalla corta e stretta Striscia di Gaza. Hezbollah ha trasformato il Paese in una pelle di leopardo con basi logistiche e zone d'ombra che passano necessariamente dall'estero. E Israele è riuscito a infiltrarsi. L'attacco al consolato iraniano in Siria, a Damasco, lo scorso 1° aprile, ha aperto un varco: pur non rivendicato da Tel Aviv (16 morti tra cui un comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane) quel raid in particolare, e poi altri in Siria e Iraq, avrebbe convinto seconde file di Hezbollah a «vendersi» ai Servizi israeliani. E mentre in Libano alzavano la guardia, altri passavano al «nemico». Impauriti.
Ora è caduto pure il fantasma Nasrallah. Il predicatore che «non terrorizzerà più nessuno». La sua posizione, certa al punto da ottenere un via libera da Netanyahu, è arrivata sul desk degli 007 israeliani solo questa settimana. Come? Grazie a una soffiata: l'ennesima in questa operazione di ampio respiro che segna una vittoria d'intelligence per Israele e una rivincita dopo le incertezze mostrate il 7 ottobre. Verificata l'efficacia delle informazioni con l'esplosione dei cercapersone e poi con l'umiliante «botto» dei walkie talkie, l'esercito israeliano ha deciso di tagliar la testa al serpente, con l'ok del premier da un hotel di New York. Piani pronti da mesi, per «risolvere» la minaccia permanente. Eliminazione mirata. Obiettivo numero uno, quel predicatore che dal 1992 guida i proclami contro «l'entità sionista».
Soltanto quando azionati, a compartimenti stagni e via via dalla Siria al Libano, i contatti libanesi hanno provato il successo di «Nuovo Ordine». Trema ora anche la leadership della Repubblica islamica: l'ayatollah Ali Khamenei è stato già «spostato» in luogo sicuro.
Per ora gli obiettivi di Israele restano in Libano: depositi di armi, centri di addestramento. Fortini diffusi, quasi alberghi per terroristi sparsi su tutto il territorio. La strategia è di andare a stanarli uno per uno, se necessario, evitare che Hezbollah possa rialzarsi dopo il ko.
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