L'elettrochoc della sfiducia, la prima dal 1962, è servito ad accelerare la reazione dell'Eliseo. Decisione presa a 24 ore dalla caduta del governo: Emmanuel Macron non si dimette. Resterà a capo della Francia: «Fino alla fine del mandato che mi avete democraticamente affidato, è di 5 anni e lo porterò avanti». Nominerà un nuovo premier «nei prossimi giorni», un uomo (o una donna) che possa rappresentare le forze repubblicane e quelle che si impegnano a non sfiduciarlo, annuncia, ipotizzando un non meglio definito governo «d'interesse generale» per contrastare «l'estrema destra e l'estrema sinistra, unite in un fronte anti-repubblicano».
Ieri sera, in tv, urgeva anzitutto dar risposte ai mercati: da giorni con i pop corn e con Moody's che in mattinata scriveva che l'incertezza politica francese è negativa per il rating, esprimendo dubbi sul consolidamento delle finanze pubbliche. Macron era però atteso anche dai cittadini: che per il 61% continuano a volerlo vedere fuori dal palazzo, dimissionario, stando al sondaggio Elabe pubblicato ieri. Lui resiste. E alle 20 si presenta nelle case via piccolo schermo dopo aver formalizzato l'addio al premier Barnier a tempo di record, chiarendo che gli affari correnti sono comunque garantiti. Insomma, un esecutivo c'è. Ma c'è pure la crisi. Prova a chiarire il giallo sulle cause, che le opposizioni attribuiscono solo alla sua scelta d'estate e soprattutto di settembre. Lui rispedisce l'accusa al mittente, mentre molti francesi (il 53%) ritengono che Barnier avrebbe dovuto fare più concessioni a Le Pen.
Equilibrismo e un mini mea culpa, da Macron: «Lo scioglimento dell'Assemblée non è stato compreso, me l'hanno rinfacciato in molti e continuano a farlo, è una mia responsabilità, ma non mi assumerò mai l'irresponsabilità di altri». Attacca le opposizioni («Hanno scelto il disordine») e i deputati del Rn d'aver votato una mozione dell'estrema sinistra, che insultava i loro elettori e diceva il contrario del loro programma, «non per fare, ma per disfare». Per lui, Mélenchon e Le Pen, senza citarli, «pensano solo all'elezione presidenziale, con cinismo e senso del caos». Poi fa partire il conto alla rovescia, chiedendo di fatto ai francesi di digerire la sua presenza per altri 30 mesi, dando pure una stoccata ai socialisti per aver votato con l'estrema gauche. «Da oggi, una nuova era deve iniziare, dobbiamo agire per la Francia e costruire nuovi compromessi, non possiamo permetterci divisioni né immobilismo, mi oppongo al fatto che i francesi paghino il conto della sfiducia».
Non dà nomi, prende tempo. Oggi cominceranno le consultazioni ufficiali all'Eliseo, dopo il pranzo di ieri con uno dei favoriti, il centrista e leader del MoDem François Bayrou. La priorità è la manovra, una legge speciale permetterà la continuità dei servizi pubblici, in esercizio provvisorio. Poi il nuovo governo scriverà la nuova: «Il Parlamento saprà trovare compromessi». Rassicura. Ci prova. Pronto ora all'ultimo crash test. Capire se la Francia plasmata a sua immagine terrà. O se le porterà a una crisi: di quel regime semipresidenziale che ha garantito per decenni stabilità.
Per ora, annunci di prospettiva e affondi contro gli avversari. Con 200mila dipendenti pubblici in piazza ieri in tutto l'Esagono, in sciopero; 30 mila nella sola Parigi.
E l'appuntamento jolly vantato dal presidente per domani come modello: «Davanti al mondo celebreremo la riapertura di Notre Dame, cantiere che davano per impossibile e invece ce l'abbiamo fatta, siamo riusciti nei Giochi Olimpici, è la prova che sappiamo fare l'impossibile, faremo lo stesso in questi 30 mesi per la scuola, la salute, l'Europa".
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