Si è riaperta la questione degli sfratti e il nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi registra già una pessima figura. Dopo che alla fine dello scorso anno il governo Conte aveva deciso di rinviare sine die la possibilità per i proprietari di rientrare in possesso dei loro beni, nelle ultime ore si era venuti a conoscenza di un accordo all'interno della maggioranza: dal M5S al Pd, da Italia viva a Forza Italia e Lega. In sostanza, grazie a un emendamento al «mille proroghe» si sarebbe arrivati a un compromesso, che almeno in parte andava a tutelare i diritti dei proprietari.
La soluzione adottata avrebbe permesso gli sfratti, a partire dal prossimo aprile, in tutte le situazioni che nulla hanno a che fare con la pandemia. In questo modo, i proprietari alle prese con morosità accertate già prima del marzo 2020 avrebbero potuto riavere il loro bene. Negli altri casi, invece, il blocco sarebbe rimasto in vigore fino a tutto giugno.
Nelle ultime ore, però, quell'intesa è saltata: non per scelta delle forze parlamentari, ma a causa di un stop proveniente dal governo, che ha imposto di sospendere tutto. Talune voci uscite da Montecitorio indicano in Marta Cartabia, che nel nuovo governo guida la Giustizia, il ministro che avrebbe voluto questo improvviso cambio di direzione; altri, invece, puntano il dito sul ministro Enrico Giovannini e sul Pd. In ogni caso la cosa più probabile è che, di fronte a una scelta che avrebbe tutelato i proprietari di case, sia stata una mobilitazione della sinistra a far saltare il tavolo, scatenando l'ira di Confedilizia che per prima ha denunciato lo stop. L'episodio la dice lunga su molte cose, dato che la scelta dall'esecutivo è arrivata dopo un accordo all'interno di quella che è la maggioranza più ampia della storia repubblicana. Dobbiamo allora prendere atto che il parlamento è stato ormai talmente svuotato di ogni potere e che la sua voce non conta neppure quando i rappresentanti di quasi tutti i gruppi sottoscrivono un'intesa.
C'è poi da chiedersi come si possa continuare a calpestare il diritto di proprietà e le prerogative di quei nostri concittadini che da tempo dovrebbero riavere i loro beni. Questa Italia che deve ripartire non ha bisogno di nuovi debiti (Recovery Fund) e altre misure assistenziali, ma invece ha bisogno che le istituzioni fondamentali dell'economia di mercato la proprietà e il contratto siano rispettate. Nessuno investirà mai da noi se continuano a prevalere logiche demagogiche e se si scarica l'onere dell'assistenza su quanti hanno risparmiato per investire nel mattone.
Operare uno sblocco degli sfratti scadenzato (ad aprile e luglio) aiuterebbe anche l'intera amministrazione pubblica ad affrontare nel migliore dei modi la situazione. Non è facile dire, in effetti, se l'apparato della giustizia, gli operatori assistenziali, le prefetture e tutti gli uffici statali e comunali coinvolti dagli sfratti saranno in grado di gestire questa gran massa di pratiche quando il diritto di proprietà tornerà a essere davvero riconosciuto anche in Italia.
Sul piano politico, infine, questo è un segnale pessimo. Era facile prevedere situazioni conflittuali, dato che la maggioranza di Draghi è quanto mai composita e la sinistra al suo interno ha un peso enorme. Qui, però, è perfino peggio, dato le forze politiche un'intesa tra loro l'avevano trovata ed è stato il governo ad annullare tutto.
C'è allora da chiedersi cosa abbiano fatto di male gli italiani, da troppi anni nelle mani di governanti autoreferenziali che con le loro decisioni sembrano interessati quasi soltanto a distruggere le fondamenta di una società libera.
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