Il mestiere più difficile ai tempi di Renzi? L'amico di Matteo. Il premier boy scout è uno schiacciasassi. Sorride, va sempre di corsa, ti dà una pacca sulla spalla e con quella ti butta giù. Non per cattiveria. È carattere. Per Renzi rottamare non è una scelta politica, ma un bisogno. È una filosofia. Qualcuno dice che sia fiorentinità, un cinismo che risale ai tempi di Machiavelli. Renzi è il novello Principe. Non ha la pazienza per aggirare gli ostacoli che si trova sulla strada; e se nella corsa trova una avversario, meglio così, se è un amico o un alleato, pazienza. È la regola dello stai sereno e ruzzola giù.
Renzi, in primo luogo, è un paradosso politico unico nella storia. Pensate a questo segretario di partito, per di più presidente del Consiglio, che allegramente continua ogni giorno ad asfaltare il suo stesso partito. La prima vittima del segretario-premier Pd è appunto il Pd. Renzi non solo ha cambiato la ragione sociale della Ditta, ma ne ha cambiato odori, abitudini, bandiere, segni di riconoscimento, battaglie, nevrosi. Prima il Pd era una base, una sede, una tessera, un'assemblea, una piazza. Oggi è Renzi e basta. E i giornali? L'Unità sta ancora aspettando la scialuppa di salvataggio promessa da Matteo. Europa ha perso corpo e carta. Il Pd è il primo amico di Renzi ad essere caduto. E si tratta di un delitto perfetto. Lo ha ucciso con la vittoria. L'illusione è averlo portato al 40 per cento, perché in realtà il Pd ora è un altro Pd. Il vecchio partito ha vinto, ma con il volto, il cuore e i ricordi di un altro. È come uno scrittore che da anni spera di vincere il Nobel e ci riesce con un libro scritto da un omonimo.
Ma ancora più disarmante è Renzi con gli amici in carne e ossa. Pensate a Pippo Civati, che aveva cominciato il sogno di rinnovamento generazionale proprio con il sindaco di Firenze. Pensate a Chiamparino, che si è ritrovato con la legge di stabilità sulle spalle. Pensate a Matteo Richetti, doveva essere il futuro di Renzi, il suo delfino, ed è per questo che l'altro Matteo lo ha parcheggiato fuori dai posti che contano. Pensate a Rutelli, Reggi, Emiliano, Gori, Della Valle. Dovevano essere alleati politici, mentori, consiglieri strategici, sponsor, mecenati: tutti defilati, delusi, in realtà snobbati e scaricati da Renzi. E sembra che alla prossima Leopolda, quella del 25 ottobre, non ci saranno né Baricco né Farinetti. La lista degli ex renziani si allunga? Probabile.
Non è più un segreto neppure la delusione di Graziano Delrio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, quello che doveva essere il Letta di Renzi. Anche lui si è sentito messo da parte, tanto da pensare almeno per un momento alle dimissioni. È rimasto lì, ma Matteo e Graziano non sono più gli amici di una volta. Di chi si fida allora Renzi? Al momento, raccontano, di tre persone: Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Filippo Sensi. Renzi non ha l'ossessione di piacere a tutti, gli basta la maggioranza relativa. Amici e alleati sono compagni di viaggio. L'altro, per Matteo, è un taxi. Si prende quando serve. Quando si scende non ci sono lacrime e neppure nostalgie. È uno da divide et impera , per poi mangiarsi i resti. La sua forza è spaccare i fronti e rimescolare le carte. In un anno di governo il renzismo ha diviso il Pd, il sindacato, gli industriali, il Palazzo, il partito dei governatori, la Santa Romana Chiesa e, da giovedì sera, perfino Santoro e Travaglio.
La sua grande abilità è che gli altri faticano a coalizzarsi contro di lui. L'importante, in fondo, è stargli lontano. Raccontano che Enrico Letta, dopo lo «stai sereno», si sia inabissato e Veltroni, che punta al Quirinale, cammini defilato. Meglio pararsi, perché se Renzi perdona, Matteo no.
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