La lotta all'immigrazione clandestina è il primo capitolo dell'agenda di Giorgia Meloni alla voce Piano Mattei per la stabilizzazione dell'Africa, la ratifica parlamentare dell'accordo con il premier albanese Edi Rama ne è il primo capoverso. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ieri è stato chiaro sull'intenzione dell'esecutivo di «affrontare il problema a livello europeo» e di investire il Parlamento su un progetto che serve «per alleggerire la Sicilia di questo enorme fardello».
Domani dunque arriva in Aula l'intesa sui due hotspot «italiani» sui Balcani, l'opposizione annuncia battaglia sulla costituzionalità del provvedimento e invoca il sigillo della solita magistratura ideologizzata contro il piano che prevede la realizzazione di due enclave italiane per la prima accoglienza nel porto di Shengjin - dove sbarcheranno le navi italiane della Marina e della Finanza con il loro carico di disperati salvati in acque internazionali - e nel vicino ex aeroporto militare di Gjadër, a circa 70 chilometri da Tirana, area destinata a fare da Cpr, per trattenere i migranti (si stima una capienza di 3mila persone) in attesa delle procedure, espulsione o rimpatrio compresi. Dalla primavera del 2024 personale delle nostre forze dell'ordine si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione di chi cerca asilo in Europa, stimati in circa 36mila persone. L'Italia si farà carico delle spese e verserà 16,5 milioni in un fondo ad hoc. I migranti espulsi non saranno rimpatriati dall'Albania né potranno rimanere a Tirana, ma dovranno essere riportati in Italia, con voli che potrebbero partire direttamente proprio da Gjadër.
«Sono fermamente convinto che l'accordo sia rispettoso di tutte le regole comunitarie e internazionali», ha sottolineato il vicepremier Tajani, ieri a Taormina per il meeting del buongoverno Etna23 di Forza Italia, secondo cui sarebbero «ingiuste e inesatte» le critiche a «una soluzione umanitaria che si inserisce in un quadro condiviso tra gli Stati che hanno una posizione comune nel Mediterraneo». Esperti e giuristi annunciano una valanga di ricorsi e di sentenze della magistratura simili a quelle che hanno svuotato i Cpr italiani e demolito il decreto Cutro. «L'esecutivo porti in Aula l'accordo, ridiamo centralità al Parlamento», lamentava ieri Elly Schlein a In Mezz'ora su Raitre.
«Nel 2014 Frontex aveva individuato tre hotspot in Albania, al confine tra Turchia e Bulgaria e tra Grecia, Albania e Macedonia per la registrazione dei migranti», aveva detto al Giornale Ilir Kulla, eminenza grigia della politica albanese. Tanto che nei giorni scorsi Rama si era lasciato scappare che altri Paesi Ue gli avevano chiesto accordi simili, e che lui aveva accettato solo l'offerta del nostro Paese, legato da rapporti storici consolidati dall'accordo del 2017 che prevede anche un trattato di collaborazione rafforzata sull'immigrazione, per cui in teoria non servirebbe dell'ok del Parlamento italiano, mentre invece l'opposizione invoca l'articolo 80 della Costituzione.
Quanto alla cornice legislativa, chi ha lavorato all'intesa garantisce che sia stata fatta rispettando la normativa internazionale, come ha ribadito il commissario Ue Ylva Johansson («Non è in contrasto con il diritto Ue»), ma le opposizioni a Rama e Meloni non vogliono sentire ragioni, perché le violazioni su principi come uguaglianza, diritto d'asilo e difesa a loro avviso sarebbero molteplici: il memorandum dovrebbe riguardare solo uomini maggiorenni, non donne, bambini o soggetti vulnerabili (chi deciderà?) e non ci sarebbe chiarezza sulle procedure di identificazione,
asilo e rimpatrio. «Esternalizzare la gestione dei migranti non è sempre sbagliato», ha dichiarato nei giorni scorsi Katarina Barley, la vicepresidente socialdemocratica tedesca del Parlamento Ue. Ma non ditelo alla Schlein.
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