Se un tempo per chi era a Palazzo Chigi il mitico «autunno caldo» era segnato dalla ricerca della quadratura dei conti sulla manovra finanziaria, dalla composizione dei litigi tra alleati o dalle proteste dei sindacati, per Giorgia Meloni e il suo governo le trappole sembrano arrivare su un altro terreno, meno limpido e decisamente più preoccupante.
La lunga sequenza di casi mediatico-giudiziari, la violazione delle banche dati, i tentativi di dossieraggio, gli spioni dei conti correnti, il gossip nobilitato o elevato a sistema pur di racimolare qualche spettatore in più nei talk show, i tentativi di coinvolgere la sorella Arianna in qualche accusa di esercizio indebito del potere, alla ricerca di un facile bersaglio, senza dimenticare le minacce di morte arrivate dai trafficanti di esseri umani, appaiono come tasselli di un puzzle decisamente oscuro, sul quale si esercitano forze diverse, ma unite da un unico scopo: ribaltare il verdetto delle urne senza utilizzare le urne. Se fino a un paio di mesi fa la premier veniva messa nel mirino dai suoi avversari e accusata di una sorta di sindrome d'assedio o di uno strumentale vittimismo, ora la situazione è cambiata e in molti stanno realizzando che gli alert fatti scattare dalla premier o da alcuni suoi ministri non erano figli di una narrazione complottarda.
Di sostanza ormai ce n'è molta. Il tentativo di seminare trappole lungo il terreno e di ricercare appigli extra-politici sembra diventato costante, frequente se non sistematico. Il tutto mentre il consenso degli italiani resiste al logorio del tempo, come dimostra la sequenza di vittorie elettorali messe a segno dalla maggioranza a partire dal voto delle Politiche del settembre 2022, un 12 a 1 di cui si fa fatica a individuare precedenti nella storia politica italiana, sempre molto soggetta a repentini cambiamenti d'umore. Una cavalcata culminata in un successo, quello in Liguria, in cui davvero il centrodestra ha dovuto lottare contro tutto e contro tutti, trovando una vittoria sulla carta inattesa e dal forte valore simbolico.
Il governo Meloni è ora chiamato a una sfida strutturalmente complicata: mettere un freno a una consuetudine che l'Italia da sempre coltiva: quella della costruzione di dossier attraverso pratiche poco o del tutto illecite. «Penso si debba mettere fine a questo schifo» diceva Giorgia Meloni, ospite di Porta a Porta pochi giorni fa, riferendosi ai casi di dossieraggio che hanno coinvolto imprenditori e politici. La promessa è quella di intervenire in maniera decisa: «Saremo implacabili», la situazione è «inaccettabile» e non solo in riferimento al «funzionario che anziché proteggere viola le banche dati» ma anche per il «superiore che non si accorge che vengono fatte centinaia di migliaia di accessi abusivi».
Il governo sta valutando se intervenire con un decreto legge sul tema dei dossieraggi e delle banche dati delle forze di polizia violate, non soltanto aumentando le pene ma anche limitando per gli stessi investigatori delle forze dell'ordine l'utilizzo, senza autorizzazioni chiare delle procure, sia delle banche dati sia di eventuali intercettazioni su telefonini e strumenti informatici. Nel frattempo però si aspetta un intervento della magistratura che faccia pienamente chiarezza.
«Le inchieste dicono che il dossieraggio su di me è cominciato già alla fine del governo Draghi» le parole di Giorgia Meloni. «Mi aspetto che la magistratura vada fino in fondo per capire se si tratta di ricatto e estorsione o se siamo davanti al reato di eversione. Nessuno stato di diritto può tollerare una cosa del genere».
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