Referendum-farsa tenuti in tutta fretta hanno fornito a Vladimir Putin un duplice pretesto: per procedere a un'annessione illegale di quattro province ucraine e per chiarirci rimarcando la frase intimidatoria «Non è un bluff» che per «difendere il suolo della madrepatria russa» (cioè delle province ucraine appena annesse) sarà ora lecito perfino l'impiego delle bombe atomiche. Contemporaneamente, «misteriose» esplosioni nel Baltico squarciano il gasdotto sottomarino Nordstream, trasformando in arma terroristica abbondanti quantità di quel gas ormai invendibile che fino a poco tempo fa Gazprom bruciava a cielo aperto ai confini con la Finlandia: ne seguono accuse reciproche tra la stessa Russia da una parte e l'Europa e gli Stati Uniti dall'altra. Negli stessi giorni, la mobilitazione che un Putin in evidente crisi militare non ha più potuto evitare rompe il tacito patto tra il dittatore e il suo popolo (in sintesi: faccio quello che mi pare in patria e all'estero, ma non vi chiedo di morire per me) e da una parte provoca una fuga di massa all'estero di uomini non disposti a morire per lui, dall'altra un indebolimento della sua ferrea presa sul potere. A tutto questo si aggiunge un'escalation di toni minacciosi tra Mosca e il blocco Usa-Europa, che fa parlare molti commentatori di rischio reale e forse imminente di una guerra nucleare. Il che immancabilmente trasferisce nella nostra opinione pubblica l'inquietante percezione di un rischio molto serio. Con l'altrettanto immancabile ricaduta in ambito politico di accorati inviti al negoziato, alla ricerca del compromesso per evitare una catastrofe, alla pace-prima-di-tutto che ci ricorda la retorica fasulla del disarmo unilaterale che tanto piaceva ai filosovietici e alle anime belle degli anni Ottanta.
Calma e sangue freddo, però. Perché esiste una cartina di tornasole sempre valida in tempi di crisi e di minacce, quella che si riassume nell'antico detto romano «cui prodest?», «a chi giova?». A chi giova, in questo ottavo mese di una guerra d'invasione senza prospettive, agitare davanti all'opinione pubblica europea lo spauracchio dell'apocalisse nucleare se non faremo i bravi allontanandoci dai cattivi cowboys americani? A chi giova suggerire sottobanco la disponibilità a un negoziato che negoziato non è, perché presupporrebbe la presa d'atto di quanto fino a oggi la Russia ha incamerato aggredendo l'Ucraina? A chi giova ottenere con le cattive o con le buone una tregua militare per consentire alle proprie forze decimate e malamente rimpannucciate di riprender fiato? A chi giova garantirsi così nuovi punti di partenza avanzati per una prossima guerra d'aggressione da scatenare in qualsiasi momento e con qualsiasi obiettivo?
A tutte queste domande, se si vuol essere onesti e non emotivi, si può rispondere in un solo modo: giova a Vladimir Putin. Conviene a Putin diffondere la paura di una immaginaria terza guerra mondiale incombente, perché è l'unico modo che gli è rimasto per cercare di invertire le sorti della guerra vera che non può vincere. La cosiddetta pace conviene a Putin, perché gli servirà a cercare di dividerci al nostro interno e come base per la prossima guerra che ci ha già dichiarato, definendoci l'ha fatto ancora ieri - nemici della sua patria e votati a distruggerla scatenando «bagni di sangue e rivoluzioni arancioni» nei territori dell'ex Urss. Purtroppo il rischio di un gesto irrazionale da parte di Putin è minimo ma esiste. Quando dice che la sua minaccia nucleare non è un bluff, però, mente. Perché è basata sull'idea falsa che il dito sul pulsante rosso dell'arsenale atomico sia il suo: non è così.
Esiste perfino in Russia una serie di livelli di comando militare successivi a un suo ipotetico ordine di usare la Bomba: è più che probabile che i generali non gli ubbidirebbero, e per Putin sarebbe la fine. Il dittatore lo sa e cerca di farci paura perché è solo. Vedere il suo bluff disperato continuando a sostenere Zelensky è l'unico modo per far finire questa guerra senza dargli modo di innescarne altre nel futuro.
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