Aveva preso di mira Eleonora Abbagnato, già étoile all'Opéra di Parigi, accusandola di voler distruggere l'istituzione che dirigeva, il Teatro dell'Opera di Roma. Ma si trattava di calunnie, di illazioni. Per questo il «corvo» che c'era dietro gli attacchi, Giulia Di Stasi, 67 anni, è stata condannata a due anni per l'accusa di diffamazione.
La vicenda aveva avuto luogo nel 2016, quando la Abbagnato è alla guida del corpo di ballo da circa un anno e due lettere anonime arrivano sui tavoli dei dirigenti della fondazione. La prima, scritta a mano e datata ottobre, è già piuttosto pesante: «Questa maledetta donna - vi si legge - usa l'ente a suo uso e consumo. Mandala via subito! Insieme al suo socio d'affari, Daniele Cipriani hanno progettato di far morire la struttura del corpo di ballo e creare una compagnia loro. Affidano ruoli a una cerchia ristretta di ballerini e gli altri li tengono seduti dietro le quinte ad assistere». I mittenti della missiva sarebbero due ballerini che però risulteranno estranei alla vicenda. Pochi giorni dopo ecco arrivare una seconda lettera, stavolta scritta al computer. «Padre nostro liberaci della Abbagnato», l'incipit della missiva, nel corso della quale la ballerina palermitana, che oggi ha 45 anni, viene definita tra le altre cose una «finta bionda» e un'«incapace».
La Abbagnato decide di sporgere denuncia alla Procura contro anonimi. Le indagini appaiono complicate. Ma Cipriani nota che la calligrafia della prima lettera sia identica a quella sulle etichette dei vasetti di marmellata che la Di Stasi, madre di una ballerina del corpo di ballo dell'Opera, aveva preparato e donato un po' a tutti nel teatro. Viene fatta una perizia calligrafica che conferma i sospetti dell'importante imprenditore della danza, che aveva da subito sospettato la Di Stato che spesso si lamentava del fatto che Abbagnato non cosiderava la figlia.
Così la Procura condanna la Di Stasi, che avrebbe agito di sua iniziativa, senza coinvolgere la figlia risultata del tutto estranea. L'imputata continua però a dichiararsi innocente: «Mia figlia da questa storia ha solo avuto problemi». Difficile immaginare che potesse andare diversamente.
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