Giovedì pomeriggio aveva deciso di disertare, nonostante i ministri fossero stati tutti convocati in Senato per il voto sulle tabelle della manovra. A sole quattro-cinque ore dalla bocciatura della ratifica del Mes alla Camera, evidentemente, Giancarlo Giorgetti non se l'era sentita di presentarsi a Palazzo Madama, dove avrebbe dovuto rispondere alle domande dei giornalisti e alle obiezioni di molti colleghi. Non solo quelli dell'opposizione, ma anche di Forza Italia, dove l'irritazione per essere stati costretti ad astenersi era ancora ieri palpabile (con il «no» di Fdi e Lega, un eventuale «sì» degli azzurri avrebbe infatti creato una frattura troppo profonda nella maggioranza).
Ieri, però, il ministro dell'Economia ha deciso di rompere gli indugi. E per la prima volta in queste settimane di sessione di bilancio in Senato, si è presentato in Aula. Una mattinata che non deve essere stata facile e in cui non ha potuto far altro che pattinare. Perché sono i fatti a dire che la linea di via XX Settembre - ribadita agli omologhi europei durante gli Ecofin dell'ultimo anno e confermata solo tre giorni fa con un parere del Mef alla Camera - è stata sonoramente smentita non solo dalla premier Giorgia Meloni, ma pure da Matteo Salvini e dalla Lega, il partito dove Giorgetti milita da ormai trent'anni. Insomma, una sconfessione senza precedenti. Tanto che ancora ieri i senatori dell'opposizione continuavano a chiedergli di fare un passo indietro. Inevitabile, dunque, l'imbarazzo di Giorgetti. Che dopo 24 ore di silenzio non può che allinearsi alla linea imposta da Meloni e Salvini. «Che ci fossero problemi era noto», è la premessa. Anche se poi precisa che il «no» al Salva-Stati è stato dettato da ragioni non solo economiche. «Il ministro dell'Economia - dice - aveva interesse che il Mes fosse approvato per motivi economico-finanziari, ma per come si è sviluppato il dibattito negli ultimi giorni, giurì d'onore e cose di questo tipo, mi è sembrato evidente che non ci fosse aria di approvazione». Insomma, quel che è certo è che Giorgetti continua a considerare un errore - almeno sotto il profilo economico - non aver ratificato il Mes. Meno chiaro, invece, a chi attribuisca la responsabilità del clima degli ultimi giorni e come la vicenda del giurì d'onore (chiesto da Giuseppe Conte nei confronti di Meloni) abbia inciso nella decisione di Fdi e Lega di votare contro. Anche se, ci tiene a dire Giorgetti, «non è che l'Europa ha sempre ragione». Parole riferite alla vicenda Ita-Lufthansa e al nuovo stop arrivato proprio ieri da Bruxelles. D'altra parte, era prevedibile che il «no» alla ratifica del Mes potesse avere delle ricadute sui tavoli aperti in Europa. Come e quanto, forse, lo si comincerà a capire il 15 gennaio, al primo Eurogruppo del 2024. Con l'Italia che potrebbe proporre di modificare ulteriormente l'accordo di ratifica del trattato. «Tutto si può migliorare, anche il Mes», dice non a caso Giorgetti, quasi a lasciare intendere che la partita non è chiusa. «Questi trattati- spiega - sono stati fatti in certi periodi storici e probabilmente anche la storia chiede altri tipi di risposte. Anche il Patto è stato cambiato per lo stesso motivo». Comunque non prima di sei mesi, cioè dopo le Europee e con la nuova Commissione.
Sempre che l'Europa decida di dare corso a una simile trattativa, dopo aver atteso inutilmente per un anno un via libera che Roma aveva assicurato.Infine, il ministro dell'Economia chiude la polemica sulle sue eventuali dimissioni. «I consigli delle opposizioni sono sempre utili, però - risponde Giorgetti - permettete che poi sia io a decidere».
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