«Sto bene. Dio mi ha aiutato. Me li sono trovati di fronte e ho parlato con loro. Poi hanno puntato le armi sparandomi alle gambe. Mi hanno pure picchiato colpendomi in testa, ma li perdono dal profondo del cuore». La voce di Christian Carlassare, che parla in inglese, arriva sofferente, ma chiara, ai microfoni di radio Eye, un'emittente del Sud Sudan. Il missionario italiano, veterano del Paese più giovane dell'Africa, indipendente dal 2011, era stato gambizzato poche ore prima. «Potevano ammazzarlo, ma si è trattato di un avvertimento, un messaggio ancora da decifrare. Forse non vogliono un vescovo bianco oppure un missionario che ha lavorato a lungo con un'altra etnia», spiega padre Daniele Moschetti, ex provinciale dei comboniani per il Sud Sudan.
Carlassare è stato nominato vescovo della diocesi di Rumbek l'8 marzo da papa Francesco e la sua consacrazione è prevista il 23 maggio. «La scorsa notte (domenica, nda), attorno a mezzanotte e mezza, alcune persone hanno bussato violentemente alla porta. Poi l'hanno aperta a forza», racconta alla radio la vittima. Gli aggressori erano almeno due e hanno sparato tre colpi a bruciapelo sotto il ginocchio, probabilmente di kalashnikov. «Ho le gambe ferite, ma le ossa non sono state colpite - racconta Carlassare -. In ospedale hanno fermato l'emorragia. Sono fiducioso». Per l'attentato la polizia sudsudanese ha arrestato 24 persone.
Il più giovane vescovo della Chiesa non si è perso d'animo: «La popolazione soffre molto più di me. Perdono chi mi ha colpito. La mia solidarietà va a chi è stato ferito oppure ucciso a Rumbek. Ringrazio Dio per permettermi di svolgere la missione». Padre Andrea Osman, che vive vicino al vescovo, ha raccontato: «L'ho sentito gridare e poi gli spari. Quando mi hanno visto hanno intimato di andarmene. Uno di loro ha sparato due proiettili, che si sono conficcati nella sedia alle mie spalle». I primi a soccorrerlo sono stati i medici italiani del Cuamm ospitati nel compound accanto al luogo dell'agguato. Enzo Pisani ha raccontato a Nigrizia, mensile dei missionari combioniani come Carlassare, che il vescovo «sanguinava notevolmente. Non è stato facile trovare il sangue perché il suo gruppo è H negativo. La provvidenza ci ha aiutato e un volontario del Cuamm, con gruppo O negativo, gli ha donato il suo». Il vescovo è stato portato in aereo a Juba, la capitale del Sud Sudan, e poi in Kenya, a Nairobi. «Ci ha chiamato questa mattina (lunedì, nda) alle sette e ci ha detto che lo avevano colpito, che avevano sparato al chiavistello della porta con i fucili e poi alle gambe», racconta Marcellina Leder, la mamma del giovane vescovo, dalla loro casa di Piovene Rocchette, in provincia di Vicenza. «Siamo frastornati. Gli è andata bene. Voleva tranquillizzarci: Non vi preoccupate, mi hanno fatto una trasfusione di sangue».
Carlassare è missionario nel Sud Sudan da 16 anni. A lungo è stato missionario a Malakal, nella regione dell'Alto Nilo, in mezzo ai nuer, un gruppo etnico in atavica lotta contro i dinka della sua nuova diocesi. Un vescovo che aveva vissuto con i «nemici» tribali imparando addirittura la lingua forse non andava a genio. «Si tratta di un avvertimento chiaro e di un'intimidazione per padre Christian ha dichiarato a Nigrizia una fonte ben informata . Il messaggio che hanno voluto trasmettere è che non deve essere consacrato vescovo il prossimo 23 maggio, giorno di Pentecoste». Gran parte della popolazione ha accolto Carlassare con gioia, ma nel Sud Sudan aleggia ancora lo spettro della sanguinosa guerra civile.
Il Paese è parcellizzato dai signori della guerra, che hanno mantenuto le loro milizie e gli appetiti sulle ricchezze come il petrolio. «Se non riusciranno a formare un solo esercito - spiega Moschetti - si tornerà a una sanguinosa guerra tribale per il controllo delle risorse».(ha collaborato Serenella Bettin)
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