Immobilizzati in Niger, espulsi in Tunisia. Il doppio scacco matto impostoci dall'«alleato» Emmanuelle Macron non è solo umiliante, ma devastante per le politiche di sicurezza di un'Italia che rischia di veder compromesse le strategie di contenimento dei flussi migratori dalla Libia e la prevenzione delle infiltrazioni terroristiche in arrivo da una Tunisia culla dei militanti dello Stato Islamico. A questo dovevano servire le missioni dei nostri militari in Niger e Tunisia che - come già segnalato domenica scorsa dal Giornale - sono duramente osteggiate da una Francia decisa a tenerci al di fuori della sua area d'influenza nordafricana.
Ieri il Corriere della Sera, rilanciando le voci sulle pressioni d'Oltralpe dava per annullata la missione militare italiana in Niger votata e approvata dal nostro Parlamento lo scorso gennaio. Secondo il quotidiano, il presidente del Niger Mahamadou Issoufou avrebbe richiesto un «rallentamento» dell'impegno italiano nonostante nel paese siano già presenti 40 nostri soldati incaricati di pianificare la logistica della missione. E altrettanto sarebbe successo in Tunisia dove il premier Yussef al Shed avrebbe posto il veto al dispiegamento di 60 militari italiani incaricati di partecipare a una missione Nato per la prevenzione e la lotta al terrorismo.
Per ora lo Stato Maggiore della Difesa smentisce tutto. Stando a un suo comunicato in Niger «non esistono ipotesi di ritiro del personale italiano», mentre in Tunisia l'eventuale missione si «svilupperà in base alla definizione dei necessari accordi tra il paese nordafricano e l'Alleanza Atlantica». Ma la smentita - affidata allo stato maggiore della Difesa anziché a quel ministero della Difesa che con Roberta Pinotti aveva concordato tempi e modalità dell'impegno italiano in Niger - appare più doverosa che sostanziale. Riconoscere il doppio sgambetto significherebbe ammettere la totale sottomissione alla volontà della Francia in un Nord Africa critico per la nostra sicurezza e quindi il totale fallimento delle politiche avviate per giocare un ruolo di primo piano non solo in Libia, ma anche nelle aree circostanti.
Il primo ad aver capito la necessità di operare in quei territori era stato il ministro dell'interno Marco Minniti. I dossier passatigli dalla nostra intelligence quand'era ancora sottosegretario con la delega per la sicurezza spiegavano con chiarezza che il Niger è l'autostrada da cui transitano i migranti diretti verso la Libia, mentre la Tunisia è, da anni, la culla in cui si formano migliaia di militanti dello Stato Islamico. L'ampliamento del raggio d'azione italiano inizia lo scorso luglio, subito dopo lo sgarbo di un Macron pronto - pur di scipparci l'iniziativa politica in Libia - a invitare a Parigi il controverso generale Khalifa Haftar. A quel punto Minniti non esita ad avviare iniziative politiche in paesi come Niger, Mali e Ciad, tradizionalmente legati a Parigi. La risposta francese non si fa attendere. A gennaio subito dopo l'approvazione della missione militare in Niger da parte del nostro parlamento fonti dell'Eliseo rilanciate dalla radio pubblica francese Rfi fanno sapere che il governo del Niger «nega di essere stato consultato e di essere d'accordo con l'iniziativa». Pochi giorni dopo le «voci» francesi vengono confermate dal ministro degli Interni del Niger, Mohamed Bazoum, decisissimo nel smentire che il suo governo abbia mai chiesto un intervento italiano.
Ora l'intervento del presidente nigeriano e del premier tunisino sembrano segnare la definitiva sconfitta dell'Italia. Un'Italia senza governo, messa sempre più al margine dai suoi presunti alleati che rischia di ritrovarsi indifesa davanti a nuove ondate migratorie e alla minaccia di gravi infiltrazioni terroristiche.
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