E adesso? All'indomani della caduta di Bakhmut l'interrogativo domina i mille chilometri di fronte del Donbass. Una cosa è certa. I russi da Bakhmut non possono andare molto avanti. E per gli ucraini è alquanto inutile tentare la riconquista di una città ridotta in macerie. Quindi la guerra richiede una svolta. Ma in quale direzione? In teoria spetta agli ucraini lanciare la controffensiva promessa da oltre quattro mesi sviluppandola, a seconda dell'obbiettivo desiderato, lungo due diversi assi. Se lo scopo principale è raggiungere la Crimea allora le truppe di Kiev devono lasciarsi alle spalle l'enorme ansa formata dal fiume Dnipro nel punto in cui piega a Ovest e avanzare verso Sud per 166 chilometri cercando di conquistare prima Melitopol e poi Henishesk, l'ultima città prima della penisola controllata dai russi. Un secondo asse strategico e quello disegnato lungo la verticale di circa 90 chilometri che da Vuhledar scende dritta su Mariupol. Un'avanzata su uno o l'altro di questi due assi spaccherebbe a metà il fronte russo sud occidentale garantendo successi altamente simbolici come la riconquista di Melitopol o di Mariupol. Ma c'è da chiedersi se Kiev abbia la forza di raggiungere simili obbiettivi.
Non più tardi dell'11 maggio scorso il presidente Volodymyr Zelensky ha ammesso che la controffensiva richiederà «più tempo del previsto». Le sue affermazioni vanno ovviamente prese con il beneficio del dubbio. Simulazione e dissimulazione - come spiegava Sun Tsu già quattro secoli prima di Cristo - sono, infatti, il cuore di ogni strategia. Tuttavia qualche problema chiaramente c'è. Le 12 nuove brigate - per un totale di oltre 50mila uomini appoggiati da 250 carri armati e oltre 500 blindati - allestite da Kiev e dalla Nato in vista della controffensiva di primavera - hanno due problemi. Il primo è la mancanza, in seguito alle devastanti perdite subite in questi 15 mesi di guerra - di un nucleo di rodati ufficiali e veterani capaci di guidare le reclute addestrate in Europa e Stati Uniti. La seconda è la mancanza di una forza aerea essenziale per appoggiare un'avanzata che richiede lo sfondamento della triplice linea di difesa allestita dai russi. Il secondo problema deriva da un addestramento delle nuove brigate basato sui canoni strategici occidentali che prevedono un costante appoggio aereo. Un appoggio aereo che Kiev non è in grado di garantire e che difficilmente può essere compensato da un massiccio impiego dell'artiglieria. Le forniture di proiettili da obice per oltre un miliardo di euro promessi dall'Unione europea sono, infatti, ben lontani dal concretizzarsi. E comunque neanche i sospirati munizionamenti basterebbero a risolvere l'impasse. La proverbiale lentezza dell'artiglieria non garantisce infatti il sostegno a una controffensiva improntata sulla sorpresa e sulla rapidità di movimenti permessa da carri armati e blindati. E neppure il via libera di Joe Biden alla fornitura di F 16 rappresenta una soluzione immediata. Un addestramento anche a tappe forzate dei piloti ucraini destinati a pilotare i cacciabombardieri americani richiede almeno sei mesi.
Ma se gli ucraini possono apparire bloccati, i russi non stanno meglio. La simbolica vittoria di Bakhmut non apre certo la strada a una rapida avanzata su Kramatorsk e Sloviansk, indispensabile al Cremlino per annunciare la totale «liberazione» del Donbass.
Anzi l'arretramento della Wagner annunciato dal suo capo Yevgeny Prigozhin, se confermato nei fatti, priverà la Russia dell'unità il cui apporto è stato cruciale per tutte le avanzate di questi ultimi dodici mesi, da quelle su Severodonetsk e Lysychansk dello scorso giugno fino a quelle di Soledar e Bakhmut. Per questo dietro alle incognite del fronte s'intravvede il delinearsi di uno stallo strategico destinato a protrarsi almeno fino a metà estate.
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