La mossa disperata di un leader all'angolo. Ora nuova escalation (e minaccia nucleare)

Il Cremlino decreta la svolta nel conflitto. Non più "operazione speciale", ma guerra in difesa dei propri confini. Per cui può alzare il tiro

La mossa disperata di un leader all'angolo. Ora nuova escalation (e minaccia nucleare)

Alla fine la svolta nel conflitto che Vladimir Putin aveva cercato in ogni modo di evitare è arrivata. Mosca entra in guerra per davvero. Lo fa subdolamente, per via indiretta, e un discorso di Putin annunciato per la serata di ieri avrebbe dovuto fornire chiarimenti in merito. È invece scoppiato un giallo: il discorso è stato cancellato all'ultimo minuto e in seguito rinviato a oggi senza dare spiegazioni. Circostanze strane, che fanno sospettare contrasti ai vertici del Cremlino, dove i falchi della guerra totale stanno lottando per imporre la propria linea a un leader più cauto. La sostanza però rimane, almeno fino a che oggi Putin parlerà: l'annuncio di imminenti referendum-truffa per l'annessione delle province ucraine in parte occupate del Donbass, mossa che equipara ogni attacco a Donetsk e Lugansk a un attacco alla Russia, aprendo così alla necessità di una mobilitazione fin qui evitata con cura. Al tempo stesso, arrivano leggi draconiane per punire renitenti alla leva, disertori e militari che si arrendono al nemico, come ai tempi di Stalin. E viene smentito il leader turco Erdogan che si era sbilanciato a parlare di volontà di Putin di farla finita con la guerra e perfino di opportunità di restituire agli ucraini i loro territori invasi. Ma lo zar fa l'esatto contrario e rilancia la sua armata rotta. Putin sa bene che questa decisione implica gravi rischi per la sua stessa permanenza al potere, ma a questo punto è indebolito e ha poca scelta: la cosiddetta operazione militare speciale va sempre peggio, gli ucraini contrattaccano e in patria si alzano sia le voci di chi (rischiando moltissimo) chiede la pace sia quelle di chi insiste per una guerra totale. E sarebbero questi ultimi ad averla avuta vinta: i falchi alla Patrushev, alla Kadyrov, alla Prigozhin, alla Medvedev. Quelli che puntano tutto sulla vittoria, perché hanno capito che in caso di sconfitta la loro stessa vita varrebbe una manciata di copechi. Non che Putin sia più tenero di costoro, ma certo è più prudente. Se fino a oggi ha mandato al fronte i disgraziati delle minoranze etniche siberiane e del Caucaso, è perché teme fondatamente che il ritorno dall'Ucraina di centinaia o migliaia di ragazzi moscoviti o pietroburghesi in una sacca nera possa accendere una rivolta contro il regime nelle grandi città, là dove il consenso è più dubbio. Se ha rimpolpato i ranghi dell'esercito decimati dagli ucraini arruolando avanzi di galera e stranieri in cambio di promesse di libertà o di cittadinanza, è perché sa che l'alternativa sulla carta più ovvia e in linea con la propaganda del Cremlino potrebbe ritorcerglisi contro.

Adesso Putin ha i ponti bruciati alle spalle. Si giocherà una carta truccata dicendo che il popolo del Donbass si è espresso e che ora si può anche trattare, cercando di scaricare su Zelensky l'onere di voler continuare a combattere. Ma la verità è un'altra: con l'annessione truffaldina alla Russia del Donbass ucraino Putin mette il suo popolo nella condizione di dover combattere per anni per difendere la patria, Crimea inclusa.

Guerra fino in fondo, dunque, guerra di lunga durata. Putin le dà il via libera perché ormai non ha più altra via per salvare se stesso. Qui o si vince o si muore. E questo proprio mentre, con il fronte del Donbass paralizzato e vasti territori riconquistati dagli ucraini, viene provata al mondo la falsità della leggenda della superpotenza militare russa. E mentre Stati Uniti e Gran Bretagna non fanno che innalzare il livello del loro sostegno a Kiev: Londra ha appena confermato per il 2023 2,6 miliardi di dollari di stanziamento per lo sforzo bellico ucraino (più di quest'anno e più di quanto offrono tutti insieme gli altri Paesi europei), mentre a Washington non si esclude per il futuro nemmeno l'invio di carri armati.

Ormai la porta all'escalation pare aperta. Alla Casa Bianca già si analizzano con preoccupazione i vari possibili scenari. Il più temuto è l'ipotesi che un Putin militarmente alle corde rompa il tabù dell'arma atomica. Sbandierando il risultato dei referendum, il dittatore russo potrebbe sostenere il diritto di usarla contro Kiev per difendere la madrepatria. Così facendo, però, rischia una rivolta dei suoi stessi vertici militari e comunque innescherebbe un disastro globale: perché Biden dovrebbe subito reagire per far capire anche a regimi ostili come Cina, Corea del Nord o Iran che una mossa simile non paga.

Qualche generale americano ha già detto che a quel punto il Pentagono dovrebbe come minimo ordinare di spazzar via l'intera flotta russa del Mar Nero. Meglio non arrivarci. Putin però ha già mosso un nuovo passo nella direzione sbagliata.

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