Via Quirino Majorana è una strada appartata di Bologna, né centro né periferia. Qui, al numero 7, è transitato nel 2016 Abdesalem Lassoued, il terrorista tunisino ucciso ieri a Schaerbeek, sobborgo di Bruxelles, dopo l'assalto di lunedì nella capitale belga che è costato la vita a due svedesi. Da qui, non lontano dal quartiere universitario di Bologna, Schaerbeck appare lontanissima. Eppure un pezzo di questa storia di radicalizzazione e odio è stata scritta in questo palazzo che definire anonimo non è una scorciatoia giornalistica.
Un portone come tanti, di un palazzo di quattro piani, dai muri piene di scritte. Accanto non un negozio, non un bar. Solo garage, serrande abbassate, una scuola di teatro, un centro estetico che promette epilazioni laser. Sul citofono trentasei inquilini, cognomi quasi tutti italiani, nulla che faccia pensare a un covo di jihadisti in erba. Qui Lassoued avrebbe vissuto con la compagna di allora, la connazionale Agrebi Raghda, classe 1986. Una donna che non corrisponde affatto all'idea della partner di un estremista islamico. Sulla sua pagina Facebook tanti video in cui la si vede preparare caffè e spremute nel bar Max di Anzola dell'Emilia, poco fuori Bologna. Fuma, scherza con i clienti, sorride, indossa jeans e magliette aderenti, nessuna traccia di veli o jihab. Una immigrata apparentemente contenta di essere in Italia e di avere un lavoro, una donna dallo sguardo cordiale, che non disdegna un filo di trucco. Difficile immaginare che possa aver coperto un lupo solitario. In ogni caso di lei si sono perse le tracce. Il bar nel frattempo ha chiuso. E lei, che su Facebook era assai attiva, non posta nulla dal 3 febbraio 2020. Ultima azione, l'aggiornamento dell'immagine del profilo, il 29 febbraio di quell'anno, nel giorno bisestile di un anno funesto, con l'Italia che si apprestava a chiudere bottega per il Covid. Che sembra averla a sua volta inghiottita. Contattarla su Messenger è una fatica inutile, nemmeno visualizza il messaggio.
Di Abdesalem e di Raghda nessuno sembra avere memoria al numero 7 di via Majorana. Una coppia di mezza età trasecola quando raccontiamo di quello che potrebbe essere accaduto in quel palazzo: «Noi abitiamo qui da poco, e comunque qui siamo in 36 famiglie, ognuno si fa i fatti suoi». Una signora anziana non ricorda di tunisini nel palazzo. Una ragazza in felpa verde nemmeno, ma nel 2016 avrebbe avuto a occhio dodici o tredici anni, la distrazione è un obbligo a quell'età. Il bar più vicino è all'angolo tra via Mascarella e via Irnerio ed è gestito da cinesi. Su un tavolino alcuni magrebini ascoltano musica e fumano qualcosa che semplice tabacco non è. Chiedo loro e si chiudono a riccio, sarebbe stato strano il contrario.
Una delle otto pagine seguite da Abdesalem durante il suo periodo felsineo è quella dell'Associazione Inquilini e Abitanti di Bologna, che in città tutti sanno essere attiva nell'occupare edifici e darli in affitto a chi li richiede, senza guardare troppo al passaporto e alle intenzioni.
È in questa città alternativa, internazionalista, di estrema sinistra, vicina alle istanze palestinesi, che Lassoued potrebbe essersi acquattato quando il seme della radicalizzazione stava germogliando in lui, già sotto l'occhio della procura bolognese che si limitò ad aprire un fascicolo generico, prima che il tunisino facesse perdere le sue tracce.
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