Nel kibbutz degli italiani. "Hezbollah ci filma. Pronti, armi in pugno"

Nell'enclave di Sasa, in Galilea, si dorme con la pistola a fianco

Nel kibbutz degli italiani. "Hezbollah ci filma. Pronti, armi in pugno"
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«Il Libano è a un passo. Hezbollah addirittura ci filma e può spararci addosso in qualsiasi momento» spiega Cesare Funaro, romano doc del kibbutz di Sasa, sulla prima linea del fronte Nord di Israele. Non finisce la frase che il rumore fulmineo di un'esplosione ci fa capire quanto la guerra sia vicina. Su 450 abitanti del kibbutz sono rimasti solo 50, a guardia delle case e dei frutteti.

«Non molliamo» ribadisce Cesare a un passo dai gianizzeri filo iraniani di Hezbollah. «Se sparano ci rifugiamo in questo bunker» dove ci fa strada in uniforme verde da riservista, armato e ben equipaggiato.

Oltre che al servizio di guardia al massiccio cancello d'ingresso giallo, Cesare fa il cuoco dell'ottima mensa del kibbutz. «Il problema è che i razzi prima esplodono e poi suona l'allarme» sottolinea il super tifoso della Roma.

Il bunker a ridosso della guardiola è pieno di roba alla rinfusa: una barella, materassini se bombardano di notte, cassette di munizioni e kit antincendio. Gli attacchi con i droni kamikaze dal Libano, nella notte fra domenica e lunedì, hanno provocato due feriti fra i militari israeliani, ma ancora una volta incendi delle aree attorno ai kibbutz e ai centri abitati del nord da dove sono sfollate 100mila persone.

«L'attacco è inevitabile, ma siamo sotto tiro da mesi - spiega Cesare - Il timore è che non sappiamo da dove arriverà. Potrebbero esserci anche dei tunnel, mai scoperti che permetterebbero a Hezbolah di spuntare alle spalle per compiere una strage come il 7 ottobre». Il cuoco che fa anche la guardia ha il dente avvelenato con i caschi blu, compresi gli oltre mille italiani appena al di là di un confine mai riconosciuto, che viene chiamato «linea blu». «Non fanno rispettare il mandato dell'Onu - sottolinea - Hezbollah dovrebbe stare al nord del fiume Litani ben lontano da noi. I soldati dell'Onu sono dei burattini». Di fronte a Sasa è schierato il battaglione Radwan di Hezbollah composta da commando addestrati ad operazioni dietro le linee e votati alla morte. Dopo Haifa, per ingannare la guida dei missili, ma pure i sistemi di geolocalizzazione di eventuali infiltrati, tutte le app di navigazione saltano e indicano la strada verso Beirut, via Damasco, non quelle per il fronte Nord di Israele.

Israele, soldato

Sasa, a 1200 metri dagli Hezbollah, è il kibbutz degli italiani. Angelica Calò Livne, anima della comunità, si sta preparando al peggio. Le autorità hanno avvisato che in caso d'attacco massiccio potrebbe mancare per tre giorni l'elettricità e anche l'acqua. Angelica ci fa vedere il cartello con scritto «pericolo» in ebraico, che blocca la strada del kibbutz verso la sua casa. «Ci vivo lo stesso, con mio marito, ma dobbiamo stare al buio e chiusi nella stanza blindata, come ai tempi di Anna Frank». Puntando il dito contro il Libano, a di un tiro di schioppo, ricorda che «Hezbollah e l'Iran vogliono solo distruggerci». L'auditorium del kibbutz è stato passato da parte a parte da un missile anti carro Kornet, di fabbricazione russa. Angelica ci fa vedere l'acqua, i viveri e il filtro speciale contro le armi chimiche per depurare l'aria nella stanza blindata. Poi da uno zainetto tira fuori l'inseparabile Beretta. Prima del 7 ottobre non aveva mai avuto una pistola, ma adesso la tiene «a portata di mano. Non possiamo più morire senza difenderci». Il kibbutz di Bar Am viene bersagliato ogni giorno. Anche Yiron è sotto tiro e Manara ha il 75% delle case distrutte ancora prima dell'imminente rappresaglia iraniana.

Un altro «italiano» del kibbutz è Luciano Assin, che ci accoglie facendo vedere sul telefonino il filmato di un'aspra battaglia notturna fra Hezbollah e l'esercito israeliano, lungo il confine.

Razzi che esplodono in cielo intercettati da Iron Dome, le batterie anti missile, esplodono in palle di fuoco. «È passato tutto sopra questa casa - racconta Luciano - La guerra con Hezbollah e l'Iran è inevitabile. All'Occidente dico che non siamo noi il problema».

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