
Donald Trump ha fame di metalli strategici. Gli occhi puntati sulla Groenlandia e il duello con Kiev per le terre rare hanno dimostrato che la nuova amministrazione americana vuole cambiare gli equilibri globali intorno a queste risorse per insidiare il dominio della Cina. Questo sconvolgimento rischia di colpire anche l'Italia. Il dossier dei minerali strategici è ricco e complesso e coinvolge non solo il nostro Paese, ma tutta l'Ue. Nel 2024 il Consiglio dell'Unione europea ha approvato in via definitiva il regolamento su minerali fondamentali, individuando due liste, la prima con 34 materie definite «critiche» (con un elevato rischio di approvvigionamento) e la seconda con 17 identificate come «strategiche». L'estate scorsa l'Ispra, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha preparato una relazione a partire dalle indicazioni Ue e mappato le disponibilità di questi minerali in giro per la penisola.
Secondo il rapporto, attualmente nel nostro Paese sono attive 76 miniere, il problema è che delle 34 materie prime critiche indicate dall'Europa sono solo due quelle estratte: il feldspato (usato prevalentemente per l'industria delle ceramiche) recuperato da 20 siti e la fluorite (usata nell'industria dell'acciaio, dell'alluminio, del vetro, dell'elettronica) estratta in due miniere, in particolare quella di Genna Tres Montis nel sud della Sardegna che si appresta a diventare una delle più importanti di tutto il continente.
L'estrazione rimane quindi limitata a sole due materie, ma in potenza l'Italia potrebbe offrire molto di più, scrive l'Ispra: «I permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti, documentano la potenziale presenza di varie materie prime critiche e strategiche». Parliamo di 16 delle 34 materie prime critiche, ma di che materiali si tratta? È il caso ad esempio del litio, fondamentale per le batterie e l'elettrificazione dell'economia, che è stato individuato nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani, sia nelle zone delicate dei Campi flegrei che nell'area del lago di Bracciano. E infatti negli ultimi mesi la Regione Lazio ha emesso sette permessi di ricerca per valutare le dimensioni dei giacimenti. Persino i depositi dell'arcipelago toscano tra l'isola del Giglio e l'Elba potrebbero essere riattivati per la presenza di litio nelle pegmatiti delle isole. Ci sono poi depositi di rame lungo l'Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, Trentino, Carnia ed in Sardegna, mentre Toscana e Liguria ci sono siti per il manganese. Restando nella zona tra Genova e Savona c'è da segnalare il sottosuolo del parco nazionale del Beigua dove il giacimento di Piampaludo rappresenterebbe la più grande riserva di titanio d'Europa. Secondo una ricerca, un po' datata, dell'Università di Genova, il deposito ospiterebbe tra i 9 e 20 milioni di tonnellate di rutilo, un biossido di titanio. La schermatura Unesco sul Beigua impedisce estrazioni, ma il tema si ripresenterà in futuro. La guerra in Ucraina ha svelato la dipendenza europea dal titanio russo e confermato che le alternative europee sono poche dato che l'altro grande produttore è la Norvegia ma che non può soddisfare l'intero fabbisogno.
Un altro giacimento che viene considerato strategico a livello continentale è quello di Punta Corna, in Piemonte, che ospiterebbe grandi quantità di cobalto, un composto importantissimo per la produzione di semiconduttori. Altri depositi da tenere d'occhio riguardano le bauxiti e questo per due ragioni. In primo luogo, nota ancora l'Ispra, perché si tratterebbe di minerali utili all'estrazione dell'alluminio e poi perché questo composto conterrebbe quantitativi sfruttabili di terre rare. Queste bauxiti sarebbero estraibili in modeste quantità nell'Appennino centrale, ma sarebbero più consistenti in Puglia e soprattutto in Sardegna, in provincia di Sassari, nel sito di Olmedo.
Chiaramente mappare e conoscere la disponibilità non basta. Estrarre minerali e soprattutto lavorarli richiede tempo e risorse, ma pone anche problemi di impatto ambientale. Lo evidenzia la stessa Ispra scrivendo che al momento in Italia i minerali metalliferi non vengono estratti e che per la loro fornitura il nostro paese è dipendente dai mercati esteri, ma aggiunge, «Alla luce delle nuove tecniche di esplorazione molti dei depositi conosciuti andrebbero rivalutati».
Il governo italiano al momento ha messo sul piatto una cifra intorno al miliardo di euro per i prossimi due anni. Il 6 marzo il ministro dell'Economia e delle Finanze di concerto con il ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha reso operativo il Fondo nazionale per il Made in Italy, un dispositivo creato alla fine del 2023 ma non ancora attivato. Il fondo ha come obiettivo crescita, rafforzamento e rilancio delle filiere strategiche nazionali e il potenziamento dell'accesso alle materie prime critiche.
Il fondo, scrive ancora il governo, agisce attraverso due veicoli di investimento: il Fondo di Real Asset e il Fondo imprese. Nelle intenzioni del governo il provvedimento punta a coinvolgere i privati nello sfruttamento di miniere esistenti, ma anche nella riattivazione di quelle ferme.
A fare da volano anche un decreto approvato nel giugno scorso proprio sulla gestione delle materie prime che oltre a stabilire l'architettura e gestione, prova a snellire i titoli abilitativi come ad esempio la riduzione delle tempistiche per gli iter autorizzativi.
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